Scalfari: l’anti-Pannella

Eugenio Scalfari ha lasciato questo piano dell’esistenza e onestamente, da suoi avversari da sempre, dobbiamo tratteggiare quanto la sua strategia politica fosse lontana dalla nostra. La sua cultura politica era radicale, o liberal, come spesso si scrive anche da noi, per “fare gli americani nati in Italy”. Ostentava la giovanile partecipazione a Il Mondo di Marco Pannunzio e la vicinanza col Partito radicale nato dalla scissione del Partito liberale italiano del 1955. La sua strategia politica, tuttavia, era opposta a quella di Marco Pannella, più volte capo del partito dagli anni Sessanta del secolo scorso. Marco Pannella, anche se spesso lasciava questo pensiero per sé, per non essere catalogato a destra, fu potentemente avverso alla “Repubblica conciliare” o del “Compromesso storico”. Considerò il Partito comunista italiano e la Democrazia cristiana due “partiti Chiesa”, in quanto strutture dogmatiche, espressioni di due visioni del mondo totalizzanti: il marxismo-leninismo e il cattolicesimo romano.

Con la scusa dell’incontro tra masse popolari operaie urbane e contadine, temeva, come tutti i liberali, la chiusura d’un sistema su un consenso coatto. Ricordiamoci come fino agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso erano ancora vive, oltre la “Cortina di ferro”, le democrazie popolari satelliti dell’Unione Sovietica. Esse mantennero un sistema parlamentare con, formalmente, una pluralità di partiti, ma epurati e coattivamente astretti nei vecchi comitati di liberazione nazionale del tempo di guerra, e presenti alle elezioni in una lista unica, con seggi prestabiliti, la maggioranza assoluta dei quali era assegnata, da previ “accordi”, al Partito comunista locale.

In Italia il Cln sopravviveva nella forma di “arco costituzionale”, con Convenctio ad excludendum per la formazione di governi, nazionali e locali. Tutte le volte che il compromesso tra comunisti e democristiani s’avvicinava, Marco Pannella lanciava uno dei suoi laicissimi referenda; un partito marxista leninista doveva appoggiarli, il partito cattolico avversarli, e il compromesso fra i due saltava. La Nazione ne guadagnò, ad esempio, un ammodernamento radicale del diritto di famiglia. Eugenio Scalfari seguì, soprattutto negli anni Settanta, una strategia opposta. Il Partito comunista era nato come partito operaio. Gli operai industriali, in quelli anni, erano un ceto sempre più marginale. È del 1974 il testo di Paolo Sylos Labini sulle classi sociali in Italia, e lo stesso Partito comunista italiano svolgeva indagini statistiche sulla provenienza sociale dei delegati ai propri congressi, per scoprire che la stragrande maggioranza di costoro apparteneva a una borghesia medio-alta.

Eugenio Scalfari ci si buttò a gamba tesa, per “rappresentarli” e fare del partito solo formalmente operaio un “Partito radicale di massa”. Guardò sempre Marco Pannella come il parente povero. Il disegno parve andare in porto col “liberi tutti” del crollo del muro di Berlino, il crollo dei partiti di centro con Tangentopoli, ma la “Gioiosa macchina da guerra” venne fermata da Silvio Berlusconi. Poi fu Romano Prodi, il dilagare dei democristiani sinistro-affaristici, e dell’affarismo sinistro di Carlo De Benedetti. Alla fine, parlando col Papa, ebbe anche qualche isolazione, non sulla via di Damasco perché lì, oggi, si combatte troppo.

Aggiornato il 17 luglio 2022 alle ore 10:50