L’appello di Zelensky al mondo libero non è stato ascoltato davvero

Nelle vicende della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina giova riandare agli accadimenti dei primi anni della Seconda guerra mondiale, al tempo in cui il Regno Unito guidato da Winston Churchill tenne testa da solo all’armata nazista. Rileggere quella storia fa bene sempre e comunque perché le origini del Secondo conflitto mondiale hanno anche un valore paradigmatico. Contengono un insegnamento perenne. Il Regno Unito giunse impreparato allo scoppio delle ostilità, nonostante gli ammonimenti quasi decennali di Winston tenuto lontano dal Governo di Sua Maestà. Lasciar fare ad Adolf Hitler fu esiziale. Gli “accomodanti pacificatori” (appeasers) vennero bollati da Churchill con una delle sue più micidiali battute: “Un pacificatore, un accomodante ad ogni costo, è colui che nutre un coccodrillo sperando che lo mangi per ultimo” (An appeaser is one who feeds a crocodile hoping it will eat him last).

Anche oggi, nella guerra ucraina, abbondano gli appeasers, divisibili in due gruppi: gli irenisti in buona fede, che non perciò sono meno immorali dei pacifisti in mala fede, cioè gli appeasers propriamente detti. Gli uni pretendono di salvarsi la coscienza gridando: “Pace! Pace!”, a prescindere da tutte le conseguenze che ne derivino, non a loro bensì ai combattenti che le subiscono e subirebbero sul campo. Appagati da se stessi, non sentono la responsabilità dei fatti che pure contribuiscono a determinare al riparo degli eventi bellici. Gli altri non sono soltanto ferventi sostenitori del compromesso a spese dei belligeranti ma pretendono pure di indicarne, se non imporne, le clausole: “Tizio cede questo e quello. Caio fa questo e non quello. E la pace è ristabilita con soddisfazione di tutti”. In verità, la soddisfazione è dei soli appeasers, che ci guadagnano quanto meno la tranquillità, a parte l’interesse generale.

Gli uni e gli altri, tuttavia, hanno questo in comune: mettono da parte le cause del conflitto del quale in vario modo cercano di farsi pacieri. Cosa fatta, capo ha. Così la pensano. Quindi l’importante è finirla al più presto. Ma il punto è se penserebbero lo stesso, avendo la guerra in casa o, peggio, fin dentro le loro case, come le mogli, i figli, i vecchi, i soldati ucraini. Nel settembre del 1940, all’oscuro del Governo britannico, Hitler rinviò l’Operazione Leone marino, il piano d’invasione dell’Inghilterra, “fino a nuovo avviso”. Ma il crollo della Francia e i pesanti bombardamenti tedeschi su Londra e sui maggiori centri significavano, nondimeno, che la posizione britannica era tuttora drammatica e che l’aiuto dell’America era essenziale per continuare la lotta. Parlando alla radio il 9 febbraio 1941, dopo cinque mesi di silenzio, Churchill gioì per i successi britannici ottenuti contro Benito Mussolini nel Mediterraneo orientale, ma chiarì l’urgente necessità di ulteriore assistenza dall’America, che reputava imminente. Infatti, da lì a un mese, nel marzo 1941, il Congresso degli Stati Uniti approvò la leggeAffitti e prestiti” sugli aiuti agli alleati.

Per contenuto ed eloquenza, il discorso ebbe un successo eccezionale, così rimarcato: “Non si esagera affatto nel dire che la peculiare scelta delle parole e delle frasi fece dell’indirizzo radiofonico di Churchill un evento mondiale”. Quell’appello all’America, il discorso del 9 febbraio 1941, è passato alla storia con il titolo delle ultime parole: “Give us the tools, and we will finish the job” (“Dateci gli strumenti e finiremo il lavoro”). L’intera frase, che chiude quel celebre discorso, è straordinariamente potente: “Non falliremo né vacilleremo; non c’indeboliremo né stancheremo. Né l’improvviso shock della battaglia, né le lunghe prove della vigilanza e dello sforzo ci logoreranno”.

Fin dai primi momenti dell’aggressione russa e dell’invasione dell’Ucraina, l’angosciosa urgente necessità di aiuti è risuonata negli appelli di Volodymyr Zelensky. Non diversamente da Churchill, che pur era ancora a capo dell’Impero britannico, il presidente ucraino invoca drammaticamente l’assistenza delle nazioni amiche. Rivolge ai parlamenti, ai governi, ai popoli l’appello di Churchill all’America, allo stesso modo, quasi con le stesse parole: “Dateci le armi, ci difenderemo da soli e cacceremo gli occupanti; non vacilleremo e non falliremo; resisteremo sotto le bombe e i cannoneggiamenti”.

Possiamo davvero affermare che l’appello di Zelensky sia stato ascoltato fino in fondo? Ha ricevuto l’Ucraina tutto l’aiuto militare indispensabile non solo a difendersi dal nemico ma anche a contrattaccare fino a respingerlo dietro i confini? La risposta è no. Riconosciamolo, con amara tristezza. Così tanti in Occidente lamentano che Zelensky intenda resistere, morire, piuttosto che arrendersi. E non se ne vergognano. A Ovest l’incertezza ipocrita ha presto soppiantato l’iniziale indignazione. Ma questo è il secondo errore nella condotta degli Occidentali. Un errore ancora rimediabile, anzi da rimediare al più presto per la salvezza dell’Ucraina, inviando tutte le armi indispensabili ai combattenti ucraini per ricacciare i russi. Il primo errore, madornale errore, strategico e politico, non è invece rimediabile. Dopo il proditorio attacco di Putin, la dovizia di armamenti convenzionali negli arsenali occidentali doveva essere messa immediatamente a disposizione degli Ucraini. Pur considerando la sorpresa dell’attacco, imprevisto ancorché prevedibile, e i tempi logistici per l’invio delle armi, è stata meno la prudenza strategica che la nostra paura di Putin a indurre a dosare, in quantità e qualità, le forniture militari all’esercito ucraino.

E mentre l’Occidente stava lì a concionare e soppesare, gli ucraini soffrivano e morivano, come continuano a soffrire e morire anche peggio, sotto i nostri occhi incollati alle televisioni avidi di sangue come sugli spalti le matrone infoiate dei gladiatori nell’arena. La massiccia, immediata, coordinata fornitura di armamenti occidentali agli Ucraini (fornitura legittima agli aggrediti secondo tutte le leggi internazionali) avrebbe reso meno squilibrata l’iniziale situazione sul campo e fatto capire ai Russi due concetti che sono in grado di comprendere: primo, l’Occidente, cioè la libertà e la democrazia, sta con Zelensky contro Putin; secondo, l’Occidente continua ad attenersi alla dottrina della Mutual assured destruction (Mad), “mutua distruzione assicurata”, deterrenza atomica con rinuncia al primo colpo, che invece Putin di recente avrebbe esclusa, rinnegando la “bilancia nucleare” a rischio della catastrofe mondiale.

L’errore capitale degli appeasers sta nella convinzione che solo la ridotta capacità difensiva degli Ucraini avvicini la pace. Codesti utili idioti, politici, cattedratici, giornalisti, insomma l’intellighenzia e no, trovano giusto ed utile aspettarsi un cessate il fuoco, una tregua, la pace stessa dall’indebolimento dell’aggredito, già militarmente inferiore all’aggressore, tant’è che invoca armi e aiuti per non esserne sopraffatto del tutto. Un’ingenuità, un pio desiderio, una malvagità. Lo conferma lapidariamente perfino Gleb Pavlovskij, per quindici anni consigliere personale di Putin: “Più peggiora la situazione degli Ucraini sul campo, più si abbassa la disponibilità di Mosca ad un compromesso”. Esattamente il contrario di ciò in cui confidano i nostri appeasers.

Nonostante l’eroica resistenza dei militari e dei civili ucraini, una disgustosa assuefazione ai fatti di guerra va diffondendosi in certi Paesi occidentali mentre, per fortuna, la violenta espansione russa ha acuito al massimo i timori di altri Paesi, specialmente di quelli che hanno dovuto storicamente sperimentare sulla loro pelle il giogo moscovita, prima zarista, poi sovietico, infine putiniano. Un brivido corre lungo la schiena degli abitanti delle nazioni che hanno “conosciuto” i governanti e gli eserciti russi. Esse, non nutrendo certezze sugli sviluppi del conflitto, sono pronte al peggio, con o senza Nato, e preparano la pace con l’aiuto degli amici, anziché aspettarsela dalla benevolenza dei nemici. Al contrario, illusioni e ottimismo gonfiano le speranze di pace degli appeasers, disonorati come nel 1938 a Monaco, dove sussurrarono alle orecchie gli uni con gli altri l’inconfessato pensierino di oggi: “Ma sì, che vogliono questi Ucraini? È il momento di smetterla. Non possono pretendere di umiliare Putin o addirittura di infliggergli sul campo la definitiva sconfitta. Concedergli i territori che pretende e in parte ha conquistato con le armi costituisce, bensì, una dolorosa mutilazione dell’Ucraina aggredita ma pure un prezzo accettabile per riportarvi la pace così necessaria anche a tutte le altre nazioni”.

La potente tensione iniziale, morale e materiale, in favore dell’Ucraina sembra affievolirsi. Se il calo dovesse determinare o contribuire al ridimensionamento dell’Ucraina, Dio non voglia alla sconfitta, l’Occidente dovrà pentirsene nei decenni a venire. Avrà col disonore evitato la sua guerra, ma non potrà mai più guardare in faccia un ucraino. Chi potrà ancora fidarsene nel mondo intero? Per tener fede ai patti violati dal nazismo con l’invasione della Polonia (presto spartita con l’alleato sovietico!), Britannici e Francesi dichiararono Guerra ai Tedeschi nel 1939. Adesso nessun patto lega l’Occidente all’Ucraina. Non un obbligo gl’impone dunque di aiutarla a resistere e vincere. Il diritto e l’umanità, sì.

Aggiornato il 18 giugno 2022 alle ore 09:17