La ricerca del nemico esterno

È ormai diventato un assioma. Quando un leader politico si trova in difficoltà all’interno del proprio Paese, per recuperare consenso ha la necessità di crearsi un nemico esterno. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in vista delle elezioni di midterm, con consensi interni in forte calo, anche per il ritiro dall’Afghanistan, aveva la necessità di distrarre l’opinione pubblica e gli elettori dall’insuccesso planetario di una smobilitazione attuata di fretta e senza considerare le conseguenze sulla popolazione afghana. Il premier britannico, Boris Johnson, che aveva perso appeal nel Regno Unito al punto di rischiare l’esautorazione da parte del suo stesso partito, i Tory, ha colto al balzo l’opportunità offerta da Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina di assumere una posizione “formalmente” tra le più intransigenti contro la Federazione Russa.

Il nostro presidente del Consiglio, “tecnico prestato alla politica”, ha imparato presto la strategia adottata dai politici navigati. Nel suo intervento nel Parlamento italiano ha assunto, contro Putin, una posizione così dura che non ha precedenti nella storia della Repubblica. Anch’egli, è di tutta evidenza, ha compreso che gli italiani non lo considerano più un salvatore della Patria. Per recuperare posizioni, ha pensato che schierarsi con gli interessi americani in modo acritico fosse lo strumento per risalire gli indici di gradimento in Italia e nei consessi internazionali. Si è certamente reso conto della assoluta marginalità del nostro Paese nell’essere parte attiva per la risoluzione della guerra tra la Federazione Russa e l’Ucraina. Gli effetti del posizionamento politico del Belpaese, apertamente contro la Russia e a favore dell’Ucraina, li stanno vivendo le nostre imprese e le famiglie italiane. Il combinato disposto del rischio di approvvigionamento di energia e di materie prime, che importiamo dalla Russia e dall’Ucraina, la crescita esponenziale dei prezzi del gas e del petrolio e in genere delle materie prime, stanno estromettendo dal mercato le aziende italiane manifatturiere e di trasformazione.

Le nostre imprese rischiano di perdere le loro esportazioni verso i mercati esteri, a tutto vantaggio dei nostri diretti competitor che sono meno esposti alle forniture di gas russo. Chi si occupa di economia reale sa che conquistare clienti nei mercati esteri è molto complicato e faticoso. Quando – si spera il prima possibile – la guerra finirà, sarà difficile recuperare mercati di sbocco per le nostre imprese. Le conseguenze di scelte prese su base emotiva produrranno i loro effetti negativi, non solo nel breve ma anche sul medio e lungo termine.

Il sostantivo in voga in questo momento è la “diversificazione”. Termine utilizzato in economia per attuare la ripartizione finanziaria, economica e geografica dei rischi. Operazione assolutamente appropriata per una sana e corretta gestione di qualsiasi impresa. Nella fattispecie, il nostro premier si riferisce all’approvvigionamento di gas da parte del nostro Paese, ampliando i nostri fornitori, con particolare riferimento al gas liquido importato dagli Usa. Non conta se il prezzo finale per l’Italia sarà di almeno il 30 per cento in più per la problematica connessa ai trasporti e alla rigassificazione. In sostanza: cambiamo fornitore, paghiamo il gas il 30 per cento in più e passiamo dalla dipendenza dal gas russo a quello più caro americano. Geniale!

Aggiornato il 29 marzo 2022 alle ore 11:46