Il conformismo da Bar sport

La vicenda di Paolo Nori – corso su Fëdor Dostoevskij prima cancellato e poi rimesso a ruolo – è occasione ghiotta per spendere qualche parola sulla condizione degli Atenei, di questo e di altri Paesi. Da qualche tempo a questa parte, Pierluigi Battista, fratello del mio carissimo amico Domenico, conduce una personale (e purtroppo infruttuosa) battaglia contro l’incedere della tentazione censoria, ormai attestatasi oltre la soglia delle Università di mezzo mondo. Notare bene: non parlo della Cina illiberale o della Birmania oscurantista; mi riferisco alle nobilissime Accademie inglesi o d’Oltreoceano.

La pulsione al conformismo dilagante – quello che ti bolla di razzismo o peggio, se dissenti – ha spinto molti studiosi a bandire grandi scienziati, artisti, letterati, condannandoli alla damnatio memoriae. Se avessero semplicemente dimenticato che ogni uomo e ogni donna sono figli del tempo in cui vivono, li potrei anche perdonare, semplicemente sorridendo per la stupidità dimostrata. C’è di più, però, e quel di più mi mette i brividi.

L’Università non è solo il tempio del sapere, ma la terra consacrata in cui il pensiero è libero, perché l’Università è la sede naturale dei pensieri liberi, il luogo della critica, il terreno degli scontri. Censura e Università sono concetti inconciliabili, in ogni tempo. L’unica cosa che conta, in quel recinto, è la scientificità degli argomenti, la forza che esprimono sul piano intellettuale, gli orizzonti che aprono.

Il resto è conformismo da Bar sport, dove ci si prende a pugni per un rigore concesso o negato, ma non si parlerebbe mai della grandezza di William Shakespeare senza il rispetto che anche in quel posto è tributato ai grandi della Storia.

Aggiornato il 03 marzo 2022 alle ore 10:13