Morire per Kiev

Sarebbe stato oggi il “D-day” per l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione Russa, secondo le fonti d’intelligence statunitense. Non accadrà un bel nulla. Ieri, il Cremlino ha ordinato il parziale ritiro delle truppe dispiegate sul confine ucraino. Sembrava che il mondo fosse arrivato sull’orlo dell’abisso, e invece ecco il cessato allarme. Parafrasando Ennio Flaiano, tra Russia e resto dell’Occidente la situazione è grave ma non è seria. La drammatizzazione della crisi russo-ucraina è un pezzo della commedia delle parti che da qualche tempo va in scena sul confine orientale dell’Europa. Verosimilmente, si andrà avanti con un esasperante tira-e-molla fino a quando non verrà trovata una soluzione politica alla crisi. Perché, dal primo giorno in cui si è cominciato a fare a sportellate sul ring ucraino, il vero, unico obiettivo degli attori principali non è stata la guerra ma il negoziato. Un accordo solido tra le due potenze globali – Stati Uniti e Federazione Russa – a spese di quell’espressione geografica chiamata Unione europea.

La questione, ridotta all’osso, è semplice da comprendere: Washington vuole impedire a Mosca di estendere la propria egemonia verso Ovest; la Russia, a sua volta, utilizza l’arma delle forniture energetiche, di cui le economie avanzate europee hanno estremo bisogno, per contrastare i piani della Casa Bianca. Washington vuole evitare la saldatura degli interessi economici sull’asse Berlino-Mosca, perché ciò costituirebbe la base per la nascita di una potenza globale russo-germanica, forte delle risorse petrolifere del gigante eurasiatico, delle capacità produttive e del know-how dell’industria tedesca. A questo scopo, l’interesse statunitense è di spingere la Russia ad allontanarsi dai confini orientali dell’Europa per contenerne le mire espansionistiche. Ciò spiega lo sviluppo, negli ultimi due decenni della strategia Nato, di accogliere al proprio interno i Paesi dell’ex Patto di Varsavia. L’obiettivo avrebbe dovuto essere la creazione di un cordone sanitario da stendere lungo il confine europeo russo grazie a una riedizione riveduta e allargata dell’“Intermarium”, il piano concepito dal polacco Józef Piłsudski alla fine del primo conflitto mondiale per unire le terre dell’ex Commonwealth polacco-lituano all’interno di un comune sistema di difesa.

Le ragioni di Mosca possono dirsi speculari rispetto agli interessi statunitensi: non avere la Nato sull’uscio di casa. E Ucraina e Bielorussia sono la porta d’ingresso al territorio russo. Come lo è la Georgia. Nel 2008, quando lo Stato della regione transcaucasica tentò l’avvicinamento all’Occidente e all’Unione europea, il colpo di maglio di Mosca, motivato dal pretesto di offrire protezione alle regioni separatiste filo-russe dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, non si fece attendere e fu particolarmente pesante. Come se ne esce? Non certo a cannonate, anche perché un conto è la prova muscolare che il Cremlino sta mettendo in atto al confine ucraino, altro è un’invasione in piena regola che comporterebbe costi in vite umane e finanziari che Mosca non può permettersi.

D’altro canto, Washington non ha alcuna voglia di impelagarsi nella difesa militare di Kiev. Lo prova il fatto che da giorni è proprio dalla capitale statunitense che giungono le voci sull’approssimarsi dell’invasione. Se il presidente Joe Biden l’avesse voluta impedire, avrebbe inviato un poderoso contingente militare sul confine orientale dell’Ucraina e sarebbe stata la Terza guerra mondiale. Invece, si è limitato a consigliare ai suoi concittadini presenti in territorio ucraino di lasciare il Paese e a spostare l’ambasciata statunitense dalla capitale Kiev a Leopoli, città ucraina che dista 70 chilometri dal confine con la Polonia. Che è stato come dire: difendere l’Ucraina non è una nostra priorità.

Chiarito il contesto e svelato l’obiettivo che resta il negoziato, bisogna capire quale sia il punto di caduta di un possibile accordo e, soprattutto, quanto questo possa colpire gli interessi nazionali dell’Italia. Sul versante moscovita la proposta che circola negli ambienti delle diplomazie è di concordare una “finlandizzazione” dell’Ucraina, cioè farne uno Stato neutrale in considerazione della sua collocazione “cuscinetto” tra l’Occidente e la Federazione Russa, esattamente come accadde alla Finlandia nel 1946 quando nel Paese scandinavo si affermò la cosiddetta “linea Paasikivi”, dal nome del suo ideatore e presidente della Repubblica finlandese dell’epoca, Juho Kusti Paasikivi. La “linea Paasikivi” prevedeva che la sostanziale indipendenza della Finlandia dai due blocchi nemici nella Guerra fredda fosse accompagnata dalla tessitura di relazioni diplomatiche di buon vicinato con il gigante sovietico.

Un identico destino per l’Ucraina potrebbe accontentare tutti, tranne il Governo di Kiev che, invece, vuole l’ombrello della Nato per proteggersi dalle pressioni russe. Ma la geopolitica è prima di ogni cosa realpolitik, che significa sforzarsi di ottenere il possibile piuttosto che rincorrere scenari utopistici. Kiev deve farsene una ragione: il suo ingresso nella Nato, come ha ribadito il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri l’altro al suo arrivo nella capitale ucraina per incontrare il presidente Volodimyr Zelenskij, non è in agenda. Se questa è la base per avviare il dialogo, tocca affrontare il resto che riguarda da vicino gli italiani. Saremmo degli autolesionisti se accettassimo di limitarci alla partita ucraina. É il momento che l’Italia ponga sul tavolo europeo la fine delle sanzioni a Mosca. Troppo comodo che la crisi si chiuda con i russi che ritirano le truppe ammassate al confine ucraino e gli americani che, in cambio, danno il via libera all’apertura dei rubinetti del Nord Stream 2, il gasdotto che pompa gas direttamente dal suolo russo a quello tedesco.

Che si fa? Si resta a guardare i cugini teutonici risolvere il problema dell’approvvigionamento della materia prima energetica per mandare avanti il loro apparato industriale e noi si resta con il cerino acceso tra le mani delle sanzioni alla Russia che penalizzano il nostro export? Francamente, non comprendiamo quale sia l’intenzione di Mario Draghi, finora apparso piuttosto defilato nella vicenda. La sua azione di politica estera si è risolta in una telefonata a Vladimir Putin per assicurarsi il mantenimento delle forniture di gas. Impegno scritto sull’acqua se l’escalation militare deflagrasse. I player europei si sono mossi per cercare soluzioni strutturali con il Cremlino. Il francese Emmanuel Macron è andato da Putin. Lo stesso ha fatto il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Mario Draghi, invece, manda il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a parlare con il suo omologo russo, Sergej Lavrov. Ora, con tutto il rispetto per il giovane enfant prodige della politica nostrana, come immaginare che possa spuntarla nel confronto con un mastino del calibro di Lavrov? Perché Draghi non ha agito in prima persona? Dalle nostre parti c’è un detto della saggezza popolare che recita: chi vuole vada, chi non vuole mandi.

Cosa dovremmo pensare di tanto esibito disinteresse del nostro premier per ciò che accade a Oriente? Qualche sprovveduto, affetto da filo-europeismo patologico, potrebbe obiettare: ci sono già Macron e Scholz a difendere gli interessi europei. Se a tali illusi piacciono le esperienze sadomasochiste, facciano pure. Per quel che ci riguarda, delegare la difesa dei nostri interessi nazionali al duo carolingio Macron-Schotz sarebbe come affidare al lupo la guida dello scuola-bus su cui viaggia Cappuccetto rosso. Oppure dobbiamo pensare che il rapporto organico che Mario Draghi ha storicamente intrattenuto con gli ambienti dell’alta finanza statunitense gli abbia suggerito un pavido laissez faire a Washington? Perché, se così fosse, avremmo qualcosa da ridire. Posto che l’alleanza naturale con gli Stati Uniti è un caposaldo irrinunciabile della nostra politica estera, il pensiero critico e il confronto tra alleati dovrebbe essere una risorsa e non un tabù. Domanda: il Governo italiano è intenzionato o no ad avere una voce propria in questa crisi o la linea di Palazzo Chigi è di restare afoni? Appagherebbe saperlo.

Aggiornato il 17 febbraio 2022 alle ore 09:31