Giudici che fanno bingo ma Renzi non ci sta

C’è qualcosa di nuovo oggi nella diatriba fra politica e magistratura, che la prima non ci sta e attacca e che la seconda sembra essere un po’ più silente. Per ora. Il punto sta nella resistenza fra Matteo Renzi e i giudici, anche se i secondi hanno sempre qualcosa in più: la facoltà di rovinare il malcapitato. Questo Renzi lo sa.

Il nodo, purtroppo, è sempre lo stesso: che ne sa il pubblico, quello che non legge i giornali e che ascolta distratto la tv, che ne sa di questa guerra che, tra l’altro, dura da trent’anni e forse più? È pur vero, tuttavia, che nell’ occasione, i giudici hanno impallinato due ex presidenti del Consiglio: bingo! Non uno ma due già con sede a Palazzo Chigi, luogo destinato al potere di Governo dalla politica. Infatti, la politica – a parte gli interessati – se ne sta zitta, in un angolo, indifferente come un Partito Democratico con l’atteggiamento, da un trentennio, di uno (e che uno!) che guarda e passa.

A leggere le carte (le famose carte!) non pare proprio che vi siano reati nel comportamento di Renzi e che, semmai, i reati dovrebbero essere quelli dei pm che hanno indagato su di lui violando, per certi aspetti, la legge. Un comportamento del genere, un’azione come questa, non potrebbe che avere una definizione: persecuzione. Ma quello che appare subito una clamorosa sequenza senza fine è che un simile “sistema” è già successo, si ripete da anni, da un premier all’altro, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi. Questo in corso si può dunque riassumere in trent’anni dopo. E domani?

Domande che ci si pone day by day, ripetutamente, fino alla noia e per non pochi aspetti senza motivazioni concrete, in un certo senso assurde, tanto più che il procedere a scarpe chiodate di una magistratura che non deve, ovviamente, guardare in faccia a nessuno dovrebbe, sempre e comunque, camminare in punta di piedi. Forma e sostanza sono, praticamente, la stessa cosa. Ma c’è, in questo contesto in gran parte giudiziario, un altro aspetto che travalica addirittura diritti e doveri degli stessi tribunali: l’uso e l’abuso dei media che quasi sempre si configura come una vera e propria gogna. Che si risolve in un danno formidabile, se non irrimediabile, per l’indagato.

Non a caso, la replica di Matteo Renzi pone l’accento anche, direi soprattutto, sulle formalità di un’inchiesta che, tra altri aspetti a dir poco discutibili, non rispetta – o rispetta assai poco – la prerogativa di un Renzi (ma non solo sua) che è membro del Senato della Repubblica e, dunque, dotato di garanzie che la legge, e non l’arbitrio, gli assicura con una immunità voluta dai padri costituenti, allo scopo di ribadire per legge agli eletti dal popolo una garanzia in più, appunto, nei confronti di coloro chiamati ad applicare la legge. Purché non se ne abusi, si capisce. La novità di un’inchiesta che non è dissimile da tante, troppe altre, è la reattività di Matteo Renzi che ha tirato un sospiro di sollievo perché, dopo la gogna mediatica, sarà un giudice a decidere se davvero siano stati commessi i reati di cui vengono accusati lui e altri dieci dalla procura di Firenze, la sua città. “Finalmente il processo” ha esclamato. Intanto, ha denunciato i pubblici ministeri di Firenze.

Al silenzio, prevedibilissimo, del Pd come al solito indifferente, dove ha parlato il solo (e coraggioso) Andrea Marcucci è corrisposta la solidarietà delle forze riformiste e garantiste rispetto, anche, alle incredibili accuse di un Pier Luigi Bersani giustizialista cui ha replicato Antonio Tajani: “Garantisti con tutti, Renzi innocente fino a sentenza definitiva”. E ci mancherebbe altro.

Aggiornato il 11 febbraio 2022 alle ore 09:24