Quando in Parlamento si applaude alla propria sopravvivenza

Come si diceva ai bei tempi, un applauso scrosciante ha concluso la serata. Oggi gli applausi sono andati ben oltre, sono stati continui, incessanti, ripetuti. E liberatori. Va detto che la vis, staremmo per dire l’impeto dei saluti plaudenti al Presidente della Repubblica, (i latini, sebbene parchi di natura parlavano di clamores et admirationes) era vero, verissimo. E sincero. Un tributo quale raramente si può ascoltare nelle severe aule senatoriali.

La tematica mattarelliana sembrava (o lo era?) costruita apposta per un pubblico raro e autorevole, scelto. Punto dopo punto, argomento dopo argomento e senza mai una scivolata retorica o, quel che è peggio, una richiesta di rumoroso consenso, l’argomentare del Capo dello Stato si organizzava istituzionalmente come se prevedesse, senza darlo a vedere, finali rintocchi di campane, frecce tricolori, tappeti rossi.

Ben diverso da quell’ultimo speech di Giorgio Napolitano alla rielezione del 2013 con quel suo strascico in onore della ipocrisia e dell’inganno. Questa volta sono risuonati toni completamente diversi, volutamente opposti nell’aula parlamentare di deputati, senatori e rappresentanti delle Regioni.

Un pubblico si direbbe rotto ad ogni inganno, a qualsiasi incanto, a tutte le altalene di simili evenienze eppure in un’attesa trepida ma non spasmodica semmai consapevole perché sa che l’incontro col Capo dello Stato è tanto più solenne quanto più la responsabilità permea di sé ogni frase, ogni punto d’attesa, ogni ripresa, persino al di là di ogni sosta che ne prepara in successione un finale a suo modo previsto e del tutto alieno da qualsiasi tributo di consenso plaudente e rumoroso.

Diciamolo pure, anche e in faccia a quanti, e sono tanti, evocano e punzecchiano la non voglia, l’ostilità dei parlamentari di elezioni anticipate magari, spiegano quei tanti, per salvare stipendio e pensioni, come se altre categorie, vedi le medesime dei supercritici, avessero, nel caso, finalità ben più nobili, più degne, più alte, altissime.

Si dice e si scrive che la Camera ha fatto la ola al bispresidente Sergio Mattarella ed è pur vero, ma in un senso che è meno sportivo e più istituzionale.

In realtà si è assistito ad una vera e propria esplosione di sollievo non tanto o non solo per il pericolo scampato di un ricorso anticipato alle urne nel nuovo contesto della riduzione del numero dei parlamentari, ma per una riaffermata esigenza di stabilità e di sicurezza collettiva. E poco importa che qualcuno irrida a questi paroloni rinfacciando non certo le garanzie istituzionali ma, semmai e in peggio, quelle ben più modeste ma più umane di una sopravvivenza di un anno o poco più.

Aggiornato il 06 febbraio 2022 alle ore 10:03