Mentre a Sanremo si canta nel Governo si balla

Certo, lo strappo di Matteo Salvini nel Governo su un problema non secondario come il Covid è un vero e proprio colpo di gong di dissenso su una scelta di un Mario Draghi che, sia detto per inciso, ha fatto finta di non sentire. Per ora. Eppure, a cercare il pelo nell’uovo, anche nel ballo sanremese, non è difficile scovare quella danza delle dissonanze che da qualche tempo accompagna la marcia di Draghi. Esemplare in questo senso, rimanendo a Sanremo, il dissidio fra Forza Italia e Lega là dove da Forza Italia si rivolgono i più vivi complimenti “per un grande show e grandi ascolti”, al contrario da parte dei leghisti si levano le più alte indignazioni per l’esibizione “blasfema” di Achille Lauro “oltraggio alla religione cattolica” o per il ciondolo a foglia di marijuana di Ornella Muti “pericoloso ammiccamento alla liberalizzazione delle droghe”.

Questo episodio, per certi aspetti marginale, è tuttavia illuminante anche di un’altra, per così dire, dissonanza dentro il Governo Draghi, dunque di ben maggiore interesse per quanti seguono le evoluzioni della politica della maggioranza e, soprattutto, del futuro più o meno prossimo delle forze di centrodestra che la compongono. Lo scenario è quello della crisi del centrodestra anche e soprattutto dopo la batosta per Salvini (non per Silvio Berlusconi e la distinzione ha un suo peso) nella vicenda del Quirinale, che ha scoperchiato definitivamente il vaso di Pandora pure in riferimento ai rimedi, spesso buttati lì in fretta sotto l’incalzare della crisi, mentre uno di questi rimedi – come il ritorno al proporzionale – è un elemento centrale, destinato a cambiare radicalmente il panorama politico. Ritorno al proporzionale in funzione della creazione di quel grande centro che sta a cuore a chi è dentro (in primis a Berlusconi) e a qualcuno fuori dal centrodestra mentre Salvini, nella sua instancabile corsa ad arrivare primo, ha lanciato l’ipotesi del Partito Repubblicano americano completamente al di fuori di qualsiasi logica, innanzitutto proporzionale.

Una logica impietosa, quella proporzionale, perché se il sistema si proporzionalizza e torna neo-centrista in una democrazia, per non pochi aspetti bloccata, il rischio più serio per Matteo Salvini, e di più ovviamente per Giorgia Meloni, è di essere tagliati fuori al di là delle loro percentuali elettorali sia pure sul 20 o 30 per cento, essendo noto che in questo sistema, vedi quello tedesco, un partito col 10 e anche meno per cento ha possibilità di Governo e non solo. Percentuali decisive, a condizione che l’area del grande centro popolare sia gestita e guidata da leader omogenei per formazione, mentre in Italia tale area è oggi occupata da capi e capetti dalle provenienze e dalle culture (rare queste, in verità) più distanti, che li rende scarsamente componibili l’uno con gli altri, oltreché di debole appeal elettorale.

Si è parlato dunque di logiche, ovvero di sistemi elettorali. Ed è indubbio che Matteo Salvini sia ora di fronte a scelte niente affatto semplici. E non a caso il leader della Lega lo si nota più volte perplesso, sfogando sul Governo le sue incertezze. Ma il problema resta e, anzi, è in arrivo. I suoi più stretti collaboratori giurano che è nella natura di Salvini dare un colpo netto a simili scelte: o questo o quello. Non come l’asino di Buridano, che ci lasciò le penne per l’incertezza se mangiare questo o quel tipo di erba. Intanto a Sanremo si continua a cantare.

Aggiornato il 05 febbraio 2022 alle ore 08:08