Dove va Salvini?

L’enigma che ci consegna la fase politica apertasi con l’elezione bis di Sergio Mattarella al Colle si focalizza sul destino della Lega. Intendiamoci: la politica nel suo complesso è stata terremotata dalla “settimana folle” del voto per il Capo dello Stato. Crisi, rese dei conti e riposizionamenti strategici sono all’ordine del giorno a destra, come a sinistra nei Cinque Stelle, dove lo scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte somiglia a “La Guerre des boutons” di Louis Pergaud. Ma stiamo alla Lega. Matteo Salvini le ha buscate. Si è mosso troppo e male nella fase negoziale con il campo progressista nella chimerica illusione di consacrarsi kingmaker di un Presidente della Repubblica estraneo ai ranghi degli intellettuali organici al centrosinistra. Il leader leghista si è fatto prendere dall’ansia da prestazione nel provare a individuare un candidato “edibile” per la controparte. Fatica sprecata. Il capo del Partito Democratico, Enrico Letta, avendo chiarissimo il dato numerico, che non avrebbe consentito al centrodestra l’autosufficienza nella scelta del presidente, ha giocato di rimessa, limitandosi a ribattere con una serie di “no” alle proposte del leghista nella convinzione che la tattica attendista avrebbe sfiancato l’avversario, fino alla capitolazione. Ed è così che è andata: Salvini si è messo a girare come una trottola sfornando nomi su nomi, sistematicamente bruciati, fino al crollo definitivo materializzatosi con la dichiarazione di resa. Quelle sue parole “sono orgoglioso perché il movimento della Lega è stato il più compatto. E sono contento di essere colui che ha messo fine alle ipocrisie dicendo piuttosto che andare avanti con i no reciproci chiediamo un sacrificio a Mattarella e lo rivendico”, sono state un pugno nello stomaco, che ha fatto scoppiare di rabbia e sconcerto coloro che non hanno mai creduto al Mattarella super partes, all’arbitro neutrale rispettoso degli equilibri parlamentari, al “Mattarella santo subito!” invocato dal centrosinistra.

Ma il pasticcio combinato non è servito di lezione al “Capitano”. Saggezza avrebbe voluto che, dopo la sconfitta che ha avuto come immediata conseguenza la frantumazione del centrodestra, Matteo Salvini si fosse incamminato su un sentiero di sofferta riflessione. Invece, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Neanche consumata qualche giornata dal misfatto, il leader leghista è già in frenetica agitazione. Si precipita ad Arcore dall’“amico risanato” Silvio Berlusconi per proporgli la federazione tra Forza Italia e Lega modellata sulla formula del Partito Repubblicano statunitense; riunisce di volata il Consiglio federale del partito, non per un serio e approfondito dibattito sulla sconfitta ma per vedersi confermata una non si sa quanto convinta fiducia nella guida monocratica dell’organizzazione; va davanti alle telecamere a dire che per l’alleanza andata in pezzi non c’è alcun problema, “il centrodestra si ricostruisce”, ancor prima di prendersi la briga di un confronto con Giorgia Meloni che è infuriata per ciò che è accaduto.

Chiariamo un punto: sarebbe ora di piantarla con l’idea, impersonata a suo tempo da Matteo Renzi, che la prassi politica debba essere velocità dell’azione a qualsiasi costo e che il pensiero debba essere ingabbiato nei pochi caratteri di un tweet. È un’insensatezza che reca molte controindicazioni. Non è che, muovendosi la società a ritmi frenetici, l’azione politica debba correre altrettanto velocemente. È vero il contrario: la politica è ragionamento, non improvvisazione. Nella categoria del politico, ciò che differenzia la scelta responsabile dall’arbitrio è la qualità del processo decisionale. A monte deve esserci un’analisi di contesto a cui fanno seguito, prima di approdare a una soluzione condivisa, l’esame delle variabili di scenario, l’individuazione dei punti di forza e di debolezza che una proposta strategica reca in sé e la valutazione delle opportunità e dei rischi che essa comporta; la ricalibratura degli obiettivi da colpire e la ridefinizione dei risultati attesi da porre in relazione con gli strumenti e con le risorse disponibili per ottenerli. Si tratta di percorsi che richiedono tempo per sedimentare, innanzitutto nelle menti e nelle coscienze di coloro che li propongono, prima di raggiungere le comunità a cui sono destinati. Non si sfornano cambiamenti di strategie in cinque minuti. E se lo si fa, non si è credibili. Ci pensi bene, Salvini: vuole passare alla storia come un gran chiacchierone che lavora per intorbidare la realtà?

Al momento, si mettano da parte i progetti mirabolanti e ci si concentri sulla debolezza della politica leghista, che gli eventi di quest’ultimo periodo hanno portato allo scoperto. La Lega deve interrogarsi su quale debba essere il suo blocco sociale di riferimento. Posto che in una società complessa le organizzazioni partitiche, come d’altro canto tutti i corpi intermedi, non possano rappresentare gli interessi di tutti indiscriminatamente, la domanda è: la Lega oggi a chi intende rivolgersi? E non si risponda in modo demagogico: al mondo delle imprese e del lavoro, perché ora come ora non esiste un universo imprenditoriale omogeneo che viaggi nella stessa direzione, come non esiste la categoria unica dei lavoratori. Cosa è impegnarsi a difendere le ragioni delle grandi imprese, che trainano l’economia con l’export e fanno Pil grazie alla ripresa della domanda globale, altra cosa è dare voce alle istanze delle piccole e micro imprese, dell’artigianato, del commercio e del lavoro autonomo, falcidiati o complessivamente impoveriti, negli ultimi quindici anni, dal susseguirsi delle crisi: finanziaria, economica, sociale e sanitaria. E oggi di nuovo economica.

Per rimanere con i piedi piantati nel vissuto quotidiano: sulle misure anti-delocalizzazione delle imprese da approvare in sede governativa, la Lega con chi sta? Con il suo numero due, Giancarlo Giorgetti, ostile a una normativa che leghi le mani alle grandi imprese o sta con il Salvini “sovranista” che girava l’Italia promettendo il pugno duro contro gli imprenditori che portano all’estero il know-how delle produzioni nostrane per sole ragioni di profitto? E ancora: riguardo alla legge sulla concorrenza, la Lega è schierata nella difesa corporativa delle categorie professionali e imprenditoriali che resistono alla normativa europea oppure aderisce al comandamento liberista di apertura tout court del mercato? La Lega conferma la volontà di completare il processo di nazionalizzazione della sua presenza, come auspica Giuseppe Basini in un articolo apparso su L’Opinione, o si prepara a strambare in direzione di un ritorno al modello di partito-sindacato dei territori del Nord dell’Italia, come fu la Lega di Umberto Bossi e Roberto Maroni? Sul fronte dei rapporti continentali, con chi vuole stare? Con i Popolari, con i Conservatori o con i Sovranisti-identitari?

Il “popolo degli abissi” di sapelliana memoria, cioè quello degli sconfitti della globalizzazione, per la Lega è ancora una risorsa da valorizzare o un peso da scaricare? Verificare preventivamente cosa si voglia essere è funzionale alla definizione della qualità della partecipazione alle dinamiche interne all’organizzazione e all’identificazione dell’identità sociale dei propri militanti. L’insistenza originaria sul carattere anti-partito, a beneficio di una struttura movimentista orientata a canalizzare la protesta sociale, è ancora un tratto della diversità leghista? Sorprende che Matteo Salvini si sia intestardito a inseguire l’estetica dei contenitori piuttosto che soffermarsi sulla linearità dei contenuti. In una fase politica, economica e sociale tutt’altro che stabilizzata, per essere credibili presso l’elettorato bisogna preoccuparsi della qualità dell’offerta programmatica e della coerenza ideale nel calarla dentro la prassi politica, più che della forma con cui l’offerta viene presentata. Un consiglio non richiesto al leader leghista: si domandi se, alla luce della performance prodotta in occasione dell’elezione del Capo dello Stato, vi sia ancora un’ampia porzione dell’elettorato disponibile a consegnargli il Governo della nazione. Come direbbe il mitico Gigi Marzullo: si faccia la domanda e si dia la risposta.

Aggiornato il 05 febbraio 2022 alle ore 09:11