Merz: la svolta della Germania, il centrodestra e la Lega

Quello che è successo in Germania è passato un po’ sotto silenzio tra noi, perché naturalmente concentrati sull’elezione del nostro Presidente della Repubblica, ma la nomina di Friedrich Merz a capo dell’Unione Democristiana tedesca è un avvenimento di capitale importanza non solo per l’Europa, ma anche per il centrodestra italiano e segnatamente per la Lega, specie se considerata insieme al risveglio gollista in Francia, dove Valérie Pécresse appare personalità davvero in grado, dopo parecchio tempo, di riportare la destra al potere.

Il problema è sempre lo stesso e la soluzione è ancora e sempre quella italiana: unire il centro alla destra, per fermare in Europa la deriva di una sinistra che, visti condannati dalla storia i sanguinosi regimi comunisti, si è consegnata a un nichilismo senza futuro e sembra ormai preda di un atteggiamento che dalla democrazia, all’economia, ai valori più tradizionali della società, sembra quasi configurare un vero e proprio “cupio dissolvi”. Dalla libertà di pensiero, alla difesa della famiglia, dalla produzione di energia al rispetto della Storia la sinistra, alla sua comprovata avversione per la libertà, ha ormai unito anche un completo distacco dal puro buonsenso e, pure se continua a preferire le filastrocche ideologiche alla realtà, è ormai però senza più neanche quello straccio di vecchio e rozzo schema elementare, che il marxismo in passato le forniva. Dal dramma alla pochade, da Karl Marx a Greta Thunberg.

Merz è liberale, liberista e conservatore, con lui (e Markus Söder) la Cdu-Csu torna a essere il partito della destra democratica tedesca, quella di Konrad Adenauer e Franz Josef Strauss, quella della svolta occidentale, comunitaria e anticomunista e questo ritorno, oltre a essere destinato a produrre grandi cambiamenti in Europa, politicamente darà probabilmente vita a un partito capace di riassorbire parzialmente il consenso della destra estremista e potenzialmente sarà molto più simile, nei valori, a quello che in Italia rappresenta (o dovrebbe rappresentare) la Lega. E sarà un bene, dato che il centro, impersonato soprattutto da Emmanuel Macron in Francia e da Angela Merkel in Germania, non è mai apparso in grado di opporsi realmente alle pericolose distopie delle sinistre, sia elettoralmente, perché legato ad anacronistici rifiuti di alleanza con le destre, sia sul piano delle idee, perché portato alla pura mediazione di rallentamento, anziché all’elaborazione di una chiara alternativa ideale.

La libertà prima dell’egualitarismo, la società prima dello Stato, la tolleranza contro ogni chiusura, l’espansione contro il ristagno, la tradizione come memoria viva, la conquista dello Spazio, la persona come primo valore. Questa è un’alternativa ideale. Una destra occidentale, europea e cristiana che abbia nel liberalismo la sua meta, il suo metodo e il suo linguaggio. Quel sistema di valori, insomma, che nel mondo anglosassone chiamano conservatore ma che noi europei continentali abbiamo sempre chiamato e vogliamo continuare a chiamare liberale (per carità, sia chiaro, con la “e” finale). E allora occorre esportare in Europa il modello italiano di unione del centro con le destre, non imitare invece da noi lo spettacolo di divisione che condanna le destre francesi e tedesche all’isolamento e contemporaneamente il centro all’inutilità o alla sconfitta, come avverrebbe anche da noi se Giorgia Meloni si ritrovasse a guidare un partito forte ma isolato e Antonio Tajani una semplice appendice (mal tollerata) delle sinistre. E la sconfitta (che tale è stata, non nascondiamocelo) dell’elezione del Presidente della Repubblica italiano, pur con un meccanismo istituzionale completamente diverso, è stata in realtà della stessa natura delle sconfitte in Francia e in Germania: l’incapacità del centrodestra di ragionare e muoversi come tale, di superare le ragioni partigiane delle sue componenti e quelle personali di alcuni pretesi furbi.

Il Partito Popolare europeo di Merz e della Pécresse non sarà più quello di Merkel e Nicolas Sárközy che sfottevano Silvio Berlusconi, e può davvero diventare la casa comune nostra, recuperare l’Ungheria di Viktor Orbán e un domani includere la Francia di Marine Le Pen e la Polonia conservatrice, lasciando tranquillamente fuori le frange estremiste alla Éric Zemmour, con il loro pericoloso folclore estremista.

È soprattutto all’elemento di raccordo centrale del centrodestra che parlo, a quella Lega che oggi oscilla tra il 20 e il 30 per cento e non può più essere come quando oscillava tra il 5 e il 10, una Lega a cui gli elettori non sembrano voler assegnare il ruolo di destra radicale, ma quello di destra occidentale ed europea. E allora la Lega deve uscire dal guado, deve completare quel processo di nazionalizzazione della sua presenza, fortemente voluto da Matteo Salvini (e di questo tutti dovremo sempre essergli grati) con quello di liberalizzazione della sua visione economico-politica, che in passato fu di Giancarlo Pagliarini e che oggi trova il suo maggiore interprete in Giancarlo Giorgetti. La Lega, in definitiva, deve gradualmente preparare le condizioni per entrare nel Ppe, anche per trainare con sé le destre democratiche e fermare certe preoccupanti scivolate a sinistra di alcuni suoi esponenti (anche italiani). Un partito a somiglianza del Partito Repubblicano americano, insomma, ma per la nostra Europa, con un nuovo patriottismo europeo come unico reale modo per salvare i patriottismi nazionali, per difendere la nostra storia e i nostri interessi, che non sono sempre coincidenti con quelli da grande potenza spregiudicata degli Stati Uniti.

La Lega e tutto il centrodestra italiano devono essere il più possibile presenti là dove si prendono realmente le decisioni, ma senza mai divenire schiavi accomodanti del semplice desiderio di essere ammessi a corte. L’Italia nell’Unione europea, perché è là che si decide e ancor più si deciderà il nostro destino, ma anche ben consapevoli che, senza di noi, l’Europa semplicemente non sarebbe tale. Tradizionalmente e convintamente a fianco degli alleati americani lì resteremo, ma senza sottovalutare l’imbarbarimento della “cancel culture” o la follia di spingere la Russia, la cui storia è legata da sempre a quella europea, nelle braccia di quello che è (e sempre più sarà) il maggior pericolo per l’Occidente: il capital-comunismo cinese e la sua visione imperiale.

L’avvento del liberale Merz alla guida dell’Unione Conservatrice tedesca (tra l’altro uno degli europei più consapevoli dei pregi e pericoli dell’economia finanziaria) e la ripresa gollista potrebbero davvero essere l’inizio di un risveglio europeo. Però sta a noi e alla destra francese, polacca, spagnola, ungherese, non perdere l’occasione di dialogo unitario che si potrebbe determinare, cominciando ad aprire noi stessi a questa prospettiva, senza fermarci in battaglie di retroguardia o in miopi egoismi di bottega. Un Tea Party europeo come centro studi e coscienza critica del Ppe potrebbe essere una idea, ma anche solo il cominciare a parlare seriamente di unità sarebbe fondamentale.

Certo, sarebbe il colmo se in Europa assistessimo a una convergenza tra il centro e le destre mentre proprio in Italia, dove la formula è nata, l’alleanza entrasse in crisi, soprattutto considerando che, all’epoca in cui la formula nacque, le distanze ideologiche tra i tre partiti principali del Polo erano ben maggiori rispetto alla sostanziale accettazione di un’idea liberal-conservatrice che oggi, invece, è abbastanza condivisa. I pericoli che adesso corre il centrodestra derivano, infatti, da altro e cioè da quella eccessiva personalizzazione della politica, di origine americana, che privilegia i nomi rispetto alle idee, le personalità rispetto ai partiti, i rapporti fiduciari rispetto ai congressi, i tweet rispetto ai discorsi. Da vecchio liberale storico credo che dovremmo recuperare, oltre alle idee, anche il metodo liberale, se vogliamo costruire qualcosa di solido, come è nostro preciso dovere di fronte al degrado culturale, prima ancora che politico, che le sinistre stanno determinando, mettendo in forse il nostro avvenire. L’Europa deve ritrovare i suoi valori e noi con lei.

Aggiornato il 03 febbraio 2022 alle ore 09:48