Quirinale: avanti adagio, quasi indietro

Dopo le prevedibili fumate nere per il Quirinale speravamo che qualche testa lucida in Parlamento, tipo Matteo Renzi o giù di lì (e mettiamoci pure un Silvio Berlusconi, ma si sa che ha altre gatte da pelare al San Raffaele) se ne uscisse con qualche idea risolutiva, a proposito di una votazione doppia per di più espressa da Camera e Senato, altro doppione. Ma c’era e c’è troppa confusione sotto il cielo di un Parlamento alle prese con una liturgia elettorale che, scusateci il giudizio, fa acqua da tutte le parti. Eppure, basterebbe unificare Camera e Senato in un’unica struttura di 600 rappresentanti per ottenere fin da subito una scorrevolezza dei lavori, senza minimamente intaccarne la fondamentale importanza democratica.

Però il punto più vero sta altrove, oltre che nella farraginosità dei meccanismi, un’arte al contrario in cui noi italiani siamo imbattibili. Piuttosto è presente nella sostanziale mancanza di una forte e consapevole conduzione politica in un passaggio fra i più decisivi e delicati di una vicenda che è politica, mentre la si vorrebbe risolvere con il pallottoliere, forse per sbrigarla come altre senza che faccia perdere tempo ai legislatori. Posta così la questione – ma non da ora, perché nella Prima Repubblica accadeva di peggio, solo che la presenza di forti partiti e di leader di livello riportavano celermente il tutto nei giusti binari – vale la pena concordare con l’invito di Enrico Letta nel “chiuderli in una stanza e buttare la chiave”, una tecnica che si racconta essere stata usata in simili circostanze, con ottimi risultati, da un sindaco di Milano.

Un esame sia pure sommario dei “giocatori” in campo vede innanzitutto un centrosinistra in attesa delle mosse del centrodestra immaginando, come infatti sta avvenendo, scivoloni di un Movimento Cinque Stelle in perenne stato confusionale, tanto più preoccupante quanto più esercitato dal maggior partito, il più votato, con effetti di ritardi e di sbilanciamento nel contesto politico e non solo di Governo. Tuttavia, il problema dei pentastellati, come andiamo ripetendo, dovrebbe avere una sua attenuazione complessiva, se è vero come è vero che tutti i loro “no” si sono tramutati in “sì” ma si teme che tale trasfigurazione non sia del tutto indolore e, soprattutto, breve.

Quanto al Partito Democratico si sollevano i soliti dubbi – che sono infine certezze – sull’alleanza (che Letta vorrebbe strutturale) con un M5S che dà i risultati che ben sappiamo, a parte la constatazione che i gloriosi momenti esaltati da Beppe Grillo si sono tramutati in clamorose sconfitte per “merito” tutto loro e non del Pd. Se qualcosa si muove nel centrosinistra è per vocazione autonoma che queste confuse e contorte giornate elettorali mostrano ma, per ora, è un solitario Pier Ferdinando Casini che anima un panorama tutto sommato smorto a gauche. Con un Matteo Renzi non al suo meglio.

In realtà, l’unico leader a muoversi con scioltezza è Matteo Salvini che asseconda, di volta in volta, mosse e contromosse avanzando, se del caso, le proposte meno gradite a sinistra, vedi la “terna non iscritta a nessun partito”. Come se, al contrario, un’iscritta o un iscritto non offrissero analoghe garanzie. Brutto segno per la politica.

Aggiornato il 27 gennaio 2022 alle ore 09:23