Ciao Angelo

La questione sul tavolo non è (soltanto) la tragedia di un uomo politico che si toglie la vita a pochi giorni dalla sentenza di condanna. La drammaticità del gesto, e ancor più della decisione maturata, impongono rispetto e inducono grande tristezza soprattutto a chi, come me, lo conosceva da trent’anni.

Il silenzio dovrebbe accompagnare Angelo Burzi nel suo ultimo viaggio, non le polemiche. Le emozioni che lo hanno determinato a compiere un atto risolutivo, prevalendo sulla ragione che lo ha sempre guidato, parlano da sole. Le polemiche, invece, sono fuori luogo, così come inopportune sono le repliche. Sono almeno trent’anni che, tutti – anche da fronti opposti – usano i fatti giudiziari come la clava della legalità o della persecuzione. Da quando ho raggiunto l’età della ragione, poi, sento parlare di questione morale.

Appunto: vogliamo i Tribunali etici, ma rifiutiamo di accettarne le spaventose conseguenze sulla democrazia. Attendiamo messianicamente l’esito di questa o quella inchiesta, per liberarci – pensiamo noi – dei manigoldi, da spazzare via senza pietà. Così facendo, abbiamo dimenticato che nessuno – neanche i magistrati – è la bocca della verità e nessuno, neanche i magistrati (che a volte pensano il contrario), è sottratto alle critiche, alle quali non si sfugge sventolando il Codice penale.

Nel 1994 la Corte costituzionale disse che il Giudice non soltanto deve essere imparziale, ma deve anche sembrare tale. Dopo quello che abbiamo visto, letto, sentito nell’ultimo periodo (volete che faccia l’elenco degli scandali, da Luca Palamara alla Loggia Ungheria?), un atteggiamento critico non è meramente giustificato, ma risulta doveroso. Ecco. La questione sul tavolo è questa: non si parla di questo o di quel caso, ma di una credibilità compromessa alla quale bisogna porre rimedio con riforme (riforme: non vendette) troppo a lungo rinviate, per compiacenza o per paura. O con il voto ai prossimi referendum.

Cominciamo da questo. Ciao Angelo.

Aggiornato il 03 gennaio 2022 alle ore 10:23