L’Europa liberale ha ancora bisogno del Cristianesimo

Si è detto in queste ultime settimane “salviamo il Natale”. Lo si è detto da un lato perché è stato minacciato dalla pandemia, riferendosi alle cene, agli acquisti, ai regali e ai consumi; ma negli stessi giorni lo si è detto per salvarlo dalla assurda pretesa (per ora sventata e sopita) dell’Unione europea, di eliminare la parola stessa Natale con tutto quel che significa e che segue. Non sono un pauperista né un fautore della decrescita infelice e perciò non mi scandalizza la coincidenza della natività di Cristo con la cornucopia di cibo e beni di consumo. La secolarizzazione del Natale è effetto della modernità e quindi della libertà dei moderni.

Mi disturba molto di più il fatto che molti europei non siano coscienti del fatto che il benessere, la modernità, la libertà, la scienza che ci salva dalla pandemia li dobbiamo anche – e in non piccola parte – al Cristianesimo. Anzi molti europei, tra cui molti liberali, considerano quest’ultimo semplicisticamente un mero “ostacolo al progresso”. Cosa vera, ma parzialmente per alcuni lunghi periodi storici e per alcune tendenze interne al Cristianesimo. Ma è anche vero che quest’ultimo, essendo stato oltre che una religione, anche una civiltà, una cultura e un senso comune durati due millenni, è all’origine anche di tutti i movimenti europei, come l’Umanesimo, le Università, l’Illuminismo, il Liberalismo e il Socialismo (quello riformista). Ridurre il Cristianesimo all’Inquisizione, alla Controriforma, al temporalismo e all’anti-liberalismo di Gregorio XVI, che nell’enciclica Mirari vos definì un delirio la libertà di coscienza e all’antimodernismo del Sillabo di Pio IX è un gioco da storici prevenuti e da studiosi dilettanti.

Per questo mi disturba il fatto che l’Unione europea da tempo sia diventata un centro attivo di scristianizzazione dell’Europa. Lo è almeno da quando nel 2000 rifiutò di menzionare tra le sue radici culturali quelle cristiane. Il problema non sono tanto coloro che le negano del tutto. Questi ultimi possono essere confutati facilmente sommergendoli sotto montagne di fatti e citazioni (che qui risparmio al lettore). A molti, anche liberali, sfugge che il liberalismo è nato dalla cultura giudaico-cristiana in quanto secolarizzazione dell’idea della speciale dignità dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Sfugge che il Liberalismo nasce dall’idea dei diritti naturali dell’uomo (teorizzati dalla Scuola domenicana del XV secolo di Salamanca) e che gli Stati liberali infatti non concedono, ma “riconoscono”; a molti sfugge che gli argomenti di John Locke, nella sua “Lettera sulla Tolleranza” fossero tutti (nessuno escluso) tratti dalle sacre scritture. Sfugge che gli ordinamenti giuridici degli Stati liberali abbiano contratto ai loro albori un debito valoriale con il Cristianesimo per colmare la loro “lacuna etica” costitutiva creando così i diritti umani moderni.

Il vero problema viene da coloro che, pur riconoscendo le innegabili radici cristiane dell’Europa, affermano che quelle radici siano ormai “acqua passata”, che occorra “voltare pagina” e “guardare al futuro”. A quale futuro? “A un’Europa cosmopolita, multiculturale e inclusiva”, dicono, la quale non avrebbe più ormai bisogno del Cristianesimo, che sarebbe un vecchio arnese da collocare in soffitta o, meglio, in quanto “ostacolo al progresso”, alla pattumiera della storia.

I liberali proceduralisti e positivisti dicono che essendo lo Stato liberale un fatto già compiuto in Occidente, ed essendo un frutto ormai staccato dall’albero che ormai vive di vita propria con le Costituzioni e le leggi conseguenti, si potrebbe finalmente fare a meno delle radici cristiane dell’Europa e “procedere” in avanti liberandosi di quella imbarazzante e superstiziosa zavorra. Ma questo ragionamento ha mostrato di non funzionare. Lo testimonia tra l’altro la storia del XX secolo che ha mostrato di quali lacrime e sangue grondi lo Stato secolarista o ateo.

È la storia che mostra come il Cristianesimo, di tutta evidenza, sia necessario ancora oggi allo Stato liberale europeo, che ha ancora bisogno del suo patrimonio etico e del suo capitale sociale per contrastare le tendenze nichiliste e relativiste. Gli Stati europei ne hanno bisogno anche per conferire alla costruzione europea un’anima ed un’identità, senza della quale l’Ue non può fare grandi passi avanti. È questo l’avviso di autorevoli pensatori europei, tra cui il filosofo ed ex presidente del Senato, Macello Pera (vedi Marcello Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani: il liberalismo, l’Europa, l’etica”, Mondadori, Milano, 2008)

Se l’Europa oggi è senza anima e identità, non è perché non ne abbia (avuta) una, ma perché rifiuta quella cristiana che la storia le ha dato. E perché l’Ue non riconosce il Cristianesimo come anima fondativa dell’identità europea? La risposta ufficiale è che sarebbe “divisivo e non inclusivo” e “farebbe sentire esclusi gli immigrati non cristiani e in particolare i musulmani. È una balla colossale, dato che il Cristianesimo non esclude nessuno; una balla diffusa non a caso non dai musulmani ma dai laicisti europei che affollano e dominano l’Ue. Essi riducono il Cristianesimo all’azione politica e alle tante malefatte delle chiese cristiane e mirano a distruggerlo come “nemico del progresso e della scienza” sulla base di pregiudizi positivisti e scientisti e di un poco liberale disprezzo per i cittadini credenti, da essi definiti “oscurantisti, retrogradi e superstiziosi”.

In alternativa al Cristianesimo i leader europei, influenzati dal laicismo sedicente “liberale”, hanno cercato l’anima e l’identità dell’Europa nelle norme positive delle Costituzioni europee e cioè nel cosiddetto “patriottismo costituzionale” (teorizzato dal filosofo Jürgen Habermas), come se esso potesse essere una religione laica e civile che potesse sostituire quella cristiana. Il patriottismo costituzionale, tuttavia, essendo un progetto positivista e cosmopolita non ha prodotto alcun sentimento di identità specificamente europeo. Ciò dimostra che il laicismo ostacola proprio l’obiettivo che vuole produrre: l’unificazione europea e il progresso della costruzione dell’Europa politica.

Se ne deduce che il Cristianesimo sembrerebbe, dunque, l’unica risorsa culturale che gli europei abbiano per trovare un’anima ed una identità, come sostengono Pera e altri. Francamente non so dire se, e in quali forme, una reviviscenza del Cristianesimo, in profonda crisi per attacchi esterni e per conflitti interni, sia ancora possibile in Europa e in Italia e come possa vivificare il progetto europeo. È certo però che occorre fermare e contrastare l’opera di distruzione del Cristianesimo condotta dall’Unione europea a opera spesso di presunti liberali, in nome del vecchio anticlericalismo liberale ottocentesco, che spesso è sconfinato nell’anti-Cristianesimo. Esso non ha più ragione d’essere dopo che la Chiesa cattolica, ha dovuto rinunciare al suo dominio temporale e alla sua influenza sulle grandi masse popolari.

La Chiesa di Papa Francesco è oggi semmai criticabile per la sua propaganda pauperista, che spesso si traduce in una pressione politica sugli Stati europei di segno terzomondista e anti-occidentale. I liberali, comunque, non devono confondere il Cristianesimo con la Chiesa e soprattutto con l’azione pratica e politica di quest’ultima. Occorre oggi, invece, che i liberali contribuiscano a fermare la distruzione del Cristianesimo, perché esso è ancor oggi un pilastro della civiltà liberale occidentale. Devono fermare la corsa verso il nulla dei chierici anti-occidentali. Non possiamo trasmettere il nulla alle generazioni future. Occorre trasmettere loro la coscienza della grandezza della cultura occidentale cristiana e liberale, che non è solo tecnologia e consumi, ma anche dignità, diritti umani e libertà scaturiti tutti dal Cristianesimo. Altrimenti i nostri figli e nipoti vagheranno ignari e smemorati tra le rovine di una grande ricchezza, che bisogna preservare e rinnovare nel loro interesse.

Aggiornato il 03 gennaio 2022 alle ore 09:58