Sciopero generale utile? Forse a svegliare i partiti

La sveglia è stata suonata, dicono in molti. Innanzitutto, ai partiti di Governo ma anche a se stessi: ai promotori di uno sciopero generale che, comunque vada (numericamente e politicamente), ha sollecitato qualcosa di più che un dibattito. Il punto è che uno sciopero generale è più di una chiamata alle armi dei lavoratori, è più di una pagina scritta nella storia (breve o lunga, il problema non è questo) di un appello alle cosiddette forze insostituibili del lavoro. È stato – ed è – una decisione politica e, per qualcuno, la sostituzione della politica con un’altra: quella dei sindacati. E non è che nel cambio, nella sostituzione, il mondo del lavoro organizzato (meno la Cisl) abbia vinto, come si dice, ai punti. Anche perché il match è ancora agli inizi.

Ciò che era impensabile nella Prima Repubblica e in parte nella Seconda a trazione sostanzialmente leghista, è avvenuto nella Terza confermando, per l’ennesima volta, i danni dei colpi bassi dell’antipolitica (del Movimento Cinque Stelle soprattutto) contro la fragilità se non l’inconsistenza dei partiti rassegnati a una scelta che potrebbe rivelarsi fatale. In realtà, siamo di fronte al primo sciopero populista da parte di Cgil e Uil dove sta maturando la convinzione che la rappresentanza del lavoro non possa più fare affidamento sulle attuali formazioni politiche e, dunque, questi sindacati tentano la strada populista nel tentativo di farsi partito “scavalcando i partiti”.

Va tuttavia rilevato che l’assenza di una Cisl dallo sciopero è una sorta di vulnus a quella che per anni è stata la forma e la forza dell’unità sindacale. La “chiamata in Piazza del Popolo” potrebbe tuttavia costituire un passo importante verso una sorta di sovvertimento dei poteri, non dimentichiamolo mai, “elettivi, chiusi purtroppo in un Parlamento quasi inutile, sordi colpevolmente alle sofferenze di chi lavora”.

Usiamo il condizionale (Matteo Salvini è stato implacabile nei giudizi sullo sciopero) perché l’eventuale costruzione di una forza sociale e politica populista è impresa più facile a parole e slogan di Maurizio Landini e di Pierpaolo Bombardieri a parte, come dicevamo, il loro più vero obiettivo di mettere in mora i partiti, piuttosto che un serio e motivato progetto riformatore proiettato in un futuro molto vicino. D’altronde, le richieste al Governo di Cgil e Uil, abbandonate le tradizionali venature riformiste, testimoniano, nell’elencazione e nella vaghezza, una incertezza di fondo il cui rimedio è uno scivolone nel populismo.

Aggiornato il 18 dicembre 2021 alle ore 09:53