La sospensione della proprietà privata: ovvero lo “Stato di semilegalità”

Sappiamo che “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”, secondo la prescrizione chiarissima dell’articolo 42 della Costituzione italiana, “la più bella del mondo”. E ci dicono pure ogni giorno i giuristi sopraffini e i legulei di seconda mano che viviamo sotto uno Stato di diritto, benché l’espressione sia una delle più anodine della giurisprudenza. Lo Stato di diritto viene sovente considerato, non solo in lingua italiana, una versione continentale della Rule of law, ma nell’ordinamento inglese significa che il diritto amministrativo all’uso nostro non ha campo libero, perché il pubblico e il privato sono egualitariamente soggetti alla common law governata dai giudici. In Italia lo Stato di diritto è forse un altro modo di esprimere il principio di legalità, il che non aiuta a definire il concetto, anche perché la legge ha cessato da un pezzo di essere la norma generale ed astratta applicabile ad infiniti casi futuri. Le riserve di legge, delle quali è infarcita la Costituzione presupponendole ottocentescamente la miglior garanzia della libertà individuale, si sono pervertite in qualcos’altro di diverso se non addirittura opposto.

L’ultimo eclatante caso del cittadino che, tornando a casa, l’ha trovata occupata da estranei introdottisi vi, clam et precario” cioè con violenza, clandestinamente e senza titolo, comprova la mia vecchia idea e definizione dell’Italia quale Stato di semilegalità. Nessuno riesce a capire perché i media ne abbiano fatto un caso speciale dal momento che, salvo i dettagli particolari, si tratta di un caso comune, simile nelle linee essenziali a migliaia di altri. Quel nostro cittadino, essendo stato spossessato da soggetti che, detenendo l’alloggio, continuavano a perpetrare vari reati, ha chiamato la forza pubblica, sentendosi rispondere che lo sgombero era impossibile perché mancava la flagranza (sic!), una degli occupanti era incinta, c’era di mezzo un bambino. Il nostro disgraziato cittadino ha dovuto farsi assistere da un avvocato e ottenere dal magistrato prima il sequestro e poi il dissequestro dell’immobile, a quanto pare. Il tutto, con relative spese legali, per rientrare in casa sua.

Questi accadimenti dimostrano, viepiù essendo intollerabilmente generalizzati, quale sia lo Stato di diritto e la legalità all’italiana nella cosiddetta Patria del diritto. Un principio del diritto civile stabilisce che lo spossessato deve essere, prima di tutto, reimmesso nel possesso. Egli ha diritto di ottenerlo immediatamente con l’azione giudiziaria chiamata appunto “possessoria”. Al contrario, le occupazioni in questione avvengono “vi, clam et precario” e pertanto gli occupanti non trovano nella legge tutele e protezioni di sorta. Devono essere sbattuti fuori ad nutum, ad un semplice cenno pure del mero possessore, come un inquilino, e quindi ancor più del proprietario. L’articolo 55 del codice di procedura penale impone alla polizia giudiziaria, addirittura anche di propria iniziativa, l’obbligo di intervenire affinché i reati in atto non siano portati a ulteriori conseguenze, persino più gravi. Perché tale limpida norma, fondamentale per la convivenza civile, venga di fatto disapplicata è questione più politica che giuridica, essendosi diffusa una mentalità che, anche perché nutrita di pregiudizio anti-proprietario e obbediente a pulsioni falsamente umanitarie, di fatto contribuisce a scardinare un pilastro dello Stato di diritto, se l’espressione deve significare qualcosa che somigli al principio di legalità rettamente inteso.

In una sorprendente sentenza del 1994 la Cassazione ha ritenuto “abnorme”, rispetto all’articolo 55 suddetto, l’ordine del pubblico ministero di sgomberare un immobile abusivamente occupato perché il provvedimento non rientra tra gli strumenti specificamente preveduti dalle norme processuali penali: “Il provvedimento di sgombero è un atto che è riservato all’autorità amministrativa e travalica le attribuzioni del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, salvo che non costituisca una ineliminabile modalità di attuazione del sequestro”. A noi sembrano cogenti la necessità giuridica e l’urgenza pratica di ripristinare immediatamente il diritto violato mentre risulta inaccettabile l’arzigogolata pronuncia che riserva all’autorità amministrativa la potestà sugli sgomberi (e sappiamo che cosa significhi per difficoltà, ritardi, oneri, dilazionamenti, eccetera!) e prospetta un’eccezione che pare contraddire il dictum principale.

Parliamo di questione politica più che giuridica perché la legge esiste, è in vigore, ma la magistratura e la polizia giudiziaria non vi pongono mano quanto dovuto e lasciano correre queste “espropriazioni senza indennizzo” (anzi, con danno dell’espropriato!) in favore di delinquenti comuni anziché “per motivi d’interesse generale”. Chi dovrebbe dare l’ordine di por fine all’andazzo immorale, ingiusto, illegale se non il ministro dell’Interno, il procuratore generale della Cassazione, il comandante generale dei Carabinieri e magari, come garante dell’ordinamento, il supremo magistrato della Repubblica? Chi ha messo nella testa di certa gente che la casa è un diritto, cosicché ogni prepotente può sottrarla ai proprietari, confidando sulla quasi impunità? L’inesistente diritto alla casa, tuttavia proclamato e patrocinato da demagoghi a caccia di simpatie elettorali, contribuisce ad incentivare i comportamenti predatori, “legittimati” purtroppo dall’acquiescenza delle autorità e persino dall’incerta giurisprudenza della Cassazione.

 

Aggiornato il 12 novembre 2021 alle ore 09:43