La questione cinese

La Cina, essendo cresciuta a dismisura, pone diversi problemi: economici, politici, strategici. I media sono dappertutto pieni delle notizie riguardanti l’espansione dell’economia cinese e le conseguenze politiche sul piano dei rapporti internazionali. Le questioni economiche e politiche non presentano punti di attrito tali da apparire, al momento, inconciliabili o irresolubili tramite negoziati. Inoltre, esse per natura sono bilaterali, multilaterali e addirittura globali. La questione strategica riguarda invece principalmente il confronto con gli Stati Uniti, nel duplice senso di egemonia militare mondiale e di autonomia specifica di Taiwan. Con l’aggravante che la sovranità di Taiwan è strettamente collegata alla potenza sia degli Usa che della Cina. L’Isola potrebbe diventarne la cartina di tornasole.

I media americani, con qualche riflesso nei media stranieri più sensibili a tali argomenti di duro realismo, trattano la questione come essa merita, implicando l’alternativa pace-guerra tra due superpotenze, un pensiero a cui da decenni siamo disabituati. Perciò mi ha fatto piacere leggere qui l’editoriale di Roberto Penna del 29 ottobre e mi ha sorpreso il constatare che il “Corriere della Sera” del 28 ottobre abbia schierato due suoi autorevoli giornalisti, Paolo Mieli e Danilo Taino, ad ammonire l’Europa contro “le minacce cinesi” ed in favore dei “numeri di Taipei che ne fanno un Paese”, mentre Pechino, con la complicità e l’acquiescenza di quasi tutte le altre capitali, ha relegato Taiwan nel limbo degli Stati senza personalità internazionale. Il titolo del fondo di Mieli “L’Europa insensibile su Taiwan” riassume impeccabilmente la posizione politica delle istituzioni e dei popoli europei, avidi di affari con la Cina anche a discapito dei principi professati.

Il 25 giugno scrissi qui l’editoriale “Morire per Taiwan?”, rievocando l’interrogativo “Morire per Danzica?”, posto da un deputato francese dopo la spartizione nazi-comunista della Polonia e destinato a diventare storico. L’ombrello atomico americano e la debolezza atomica cinese, piuttosto che l’enigmatica “ambiguità strategica” degli Usa, hanno finora preservato l’indipendenza di Taiwan (la sovranità è violentemente negata da Pechino). Quo usque tandem? Se gli Stati Uniti chiudessero o socchiudessero soltanto l’ombrello atomico e la Cina raggiungesse, come raggiungerà, la forza non solo atomica degli Americani, “morire per Taiwan” potrebbe diventare realmente un imperativo o un’opzione per Washington e per i suoi alleati.

Nel 1995, con la delegazione dei parlamentari dell’Associazione Italia-Taiwan, visitai l’isola. Non dimentico la commovente dimostrazione di amicizia, affetto addirittura, verso l’Italia e gl’Italiani. I Taiwanesi lavoravano duro. Volevano “fare da sé”. Hanno dimostrato di avercela fatta. Vogliono restare padroni della loro isola. La Cina comunista ha su Taiwan gli stessi diritti della Germania nazista sulla Cecoslovacchia della quale Francesi e Inglesi avevano garantito l’integrità. Nel 1938 si rimangiarono la garanzia fidandosi di Adolf Hitler. Tradirono nel disonore. Innescarono la guerra sbandierando la pace. A quanto sembra, Monaco continua a non insegnare niente agli appeaser dileggiati da Winston Churchill?

Aggiornato il 02 novembre 2021 alle ore 09:04