La “questione Lamorgese”

Voglio dirlo chiaro e tondo, qui sulla “mia” Opinione, sul giornale che appoggia il centrodestra come raggruppamento destinato ad amalgamare auspicabili tendenze liberali della nazione, ammesso che esistano davvero. Anche dopo le ultime elezioni municipali è stato dibattuto, pure dai leader del raggruppamento medesimo, il punto se vi venga coltivata a dovere la classe dirigente adatta a governare in caso di vittoria nelle elezioni parlamentari. Oggi il centrodestra è diviso a metà, l’una metà nella maggioranza, l’altra metà all’opposizione, il che già è singolare trattandosi di comprovare le dichiarazioni quotidiane sull’unità del centrodestra. Da liberale, confesso incidentalmente di avere nessuna considerazione dell’unità formata sul fronte dell’antagonismo ma non cementata da ideali comuni definiti. E poi “unità” è parola che possiede, almeno alle mie orecchie, un suono sinistro perché mi evoca lo stare compatti e allineati ma eterodiretti in ogni senso, come comunismo e fascismo hanno insegnato.

Orbene, una classe dirigente adatta a governare deve essere giudicata tale dai comportamenti parlamentari ed extraparlamentari: se sta al Governo, da come governa; se sta all’opposizione, da come si oppone. Sorridere sempre dalle stanze ministeriali può essere indice di fatuità, ma pure digrignare i denti, comunque, dai banchi dell’opposizione può significare inadeguatezza. La forma e la sostanza dell’aspro attacco alla ministra dell’Interno, prescindendo dalla fondatezza delle critiche alla gestione politica e tecnica dell’ordine pubblico nei casi di Roma e Trieste, non sembrano irreprensibili e non depongono a favore di chi le ha fatte proprie.

A me dispiace dirlo così, chiaro e tondo, ma un giornale come L’Opinione deve servire anche a questo, cioè a cercare di rettificare gli sbagli del proprio raggruppamento politico. L’errore di cui parlo risulta più chiaro riflettendo su due fatti: il primo è che il ministro dell’Interno non è come gli altri ministri, bensì il fulcro dell’ordinata convivenza civile e il garante delle competizioni elettorali; il secondo è che il ministro dell’Interno è intrinseco al Governo e specialmente alla presidenza del Consiglio. Attaccare brutalmente il Viminale significa prendersela con un Palazzo Chigi che non se ne dissoci. Con quale coerenza e serietà può essere santificato Mario Draghi e sbattuta all’inferno Luciana Lamorgese, tra l’altro calunniandola con l’attribuirle gravissimi reati ministeriali? Gli accusatori avrebbero dovuto formalizzali in una denuncia penale. E, se la magistratura li avesse ritenuti sussistenti, li avrebbe perseguiti chiedendo l’autorizzazione a procedere al Senato della Repubblica, dal momento che la ministra Lamorgese non è una parlamentare. Così il Senato avrebbe dovuto deliberare sull’autorizzazione, dibattendone la fondatezza giuridica e l’opportunità politica.

Ovviamente la ministra dell’Interno può e deve, all’occorrenza, essere chiamata in causa, specialmente dall’opposizione, ma imputandole in Parlamento la responsabilità politica della gestione delle forze di polizia e del mantenimento dell’ordine pubblico. Se, inoltre, la si dipinge come la stratega fomentatrice del disordine o come l’intenzionale violatrice dei suoi doveri istituzionali non si può né omettere di denunciarla né di chiedere risolutamente al presidente del Consiglio di ottenerne le dimissioni, minacciando pure la crisi di Governo.

La “questione Lamorgese” non è stata maneggiata nel modo che avrei approvato con soddisfazione e che, secondo me, avrebbe accreditato, anziché screditare, quanto a questo, le forze politiche che hanno trattato la ministra dell’Interno nel modo in cui è stata trattata, dentro il Parlamento e fuori sulla stampa.

Aggiornato il 22 ottobre 2021 alle ore 09:31