L’autobiografia melodrammatica di una Pm in pensione

Galeotto fu il libro e chi l’ha scritto, cioè Ilda Boccassini. Forse esageriamo a scomodare Dante iniziando questo nostro resumè delle accoglienze dell’autobiografia dell’ex Pm della procura di Milano, oggi in pensione, La Stanza numero 30. Cronache di una vita. È uscito il libro della Rossa, come titola Libero con un arguto articolo di Filippo Facci: Il lavoro, le sfuriate e l’amore per Falcone, vita della Boccassini l’implacabile passionale. L’amore per Giovanni Falcone, con la sua descrizione appassionata, cominciando dal flirt consumatosi in volo, a bordo di una aereo “Alcune canzoni della Nannini…le ascoltai più volte stringendomi a lui, in top class, non c’erano altri passeggeri. Rimanemmo abbracciati per ore…Che notte!”. Un passaggio del libro che svela, con scarso senso del pudore, una relazione proibita (per i cattolici peccaminosa), essendo gli amanti sposati e la narrazione si infiamma nel ricordo, ma l’ardore romantico, incontrollato come quell’avventura, scivola inesorabilmente nel melò rischiando il fotoromanzo.

In realtà, la rivelazione del rapporto della Boccassini con Falcone non ha aspettato questa autobiografia, se è vero come è vero che non soltanto nella procura milanese si conosceva questa storia “clandestina”, ma non pochi nella città ambrosiana ne erano a conoscenza, poi confermata dalla reazione di Ilda, appresa l’uccisione di Falcone: “Si comportò – ricorda Tiziana Maiolo – da vedova e accusò i colleghi colpevoli di avere lasciato solo Giovanni”. Il brano del flirt proibito ad alta quota, nell’economia di un libro che abbraccia numerose persone, fatti, ambienti, sembra come un aiuto editoriale per rendere la lettura completa più agevole se non addirittura, un abile gossip per attrarre intenzioni e possibilità per un battage pubblicitario.

Peraltro, le critiche al “romanzone” (come l’avrebbero chiamato quelli della scuola del De Sanctis) si soffermano prevalentemente sulla storia dei due amanti constatando, comunque, che per Ilda la Rossa non era una infatuazione, un’avventura amorosa, essendo per certi aspetti nucleo centrale del libro, ma il resto, in virtù, anche di una scrittura agile e non noiosa, riguarda soprattutto il mondo del Tribunale di Milano e i suoi protagonisti verso i quali non c’è più il J’accuse lanciato quel giorno di lutto, ma rilievi, considerazioni, critiche a cominciare dall’allora capo procuratore Francesco Borrelli a Teresa Pomodoro a Gherardo Colombo.

Miscelando persone, cose, misfatti, indagini e processi, il libro non poteva non soffermarsi sulle iniziative e le indagini dell’autrice ispirandosi, spesso e volentieri al troppo facile e comodo Pro domo mea che limita e nuoce al racconto. Ed è in questa parte che la sua memoria a volte errata come nel caso dell’inchiesta “Duomo Connection” in cui Falcone non era indagatore e che, anzi, proprio lui definì come “bufala” la mafia a Milano a volte è volutamente selettiva dove non poteva mancare Silvio Berlusconi messo nel mirino a costo di volute e funzionali dimenticanze. Valga per tutte, come puntualizza sempre la Maiolo: “Le pagine sul processo Ruby: ha dedicato tre righe di numero alla assoluzione di Berlusconi sia in Appello che in Cassazione. Mentre ha raccontato a modo suo tutta la storia e gli interrogatori della ragazza. L’inchiesta, poi doveva essere condotta dal procuratore Robledo”.

Aggiornato il 11 ottobre 2021 alle ore 09:21