Giustizia: Salvini batta tre colpi

Una campagna elettorale fiacca e senza passione. Un confronto fra i partiti che non c’è stato, una offerta di proposte e progetti del tutto latitante. Per non dire del silenzio assordante sul federalismo che non c’è più, è un’utopia – come non ignora Matteo Salvini – e che dovrebbe imporre una riflessione su ruolo e funzioni della Regione nel progressivo incedere del centralismo. Silenzio, si governa, c’è lo stato di emergenza.

Emergenza, certo. Ma come non accorgersi che proprio quella campagna fiacca e senza passione è il frutto malato di una situazione nella quale giocano molti fattori non ultimo il frequente, costante, ripetuto ricorso alla decretazione da parte del Governo che ha ridotto il Parlamento a una succursale di Palazzo Chigi e i parlamentari a una compagnia di plaudenti, se si esclude Giorgia Meloni e, in rari casi, Matteo Salvini, che a molti dà l’impressione dell’incertezza del leader sulla convenienza di stare al Governo, tirando calci ogni giorno o di raggiungere la Meloni all’opposizione.

Salvini, ancora. Tornato per ora a più miti consigli draghiani dopo la contraddittoria e convulsa faccenda di patrimoniale e catasto gestita con la consumata tecnica di passi – ora a zig-zag, ora a stop and go – dovrebbe riprendere il tema giustizia che, irrisolto, da decenni s’impone più di tutti nell’agenda italiana. Al di là di referendum passati presenti e futuri. Questa super-questione ritorna da sempre a invadere di prepotenza il perimetro della politica, decapitandone rappresentanti noti e poco noti, perché la politica si è arresa, piegata, rassegnata a un potere di una giustizia che è tale sia, appunto, per il voltarle la faccia per paura, sia per la concomitante alleanza con i media che ne ha moltiplicato gli effetti devastanti su coloro che vengono colpiti. Ne sa qualcosa il dottor Massimo Galli, volto noto, conosciutissimo, iper-intervistato sulla pandemia e fra tutti gli esperti che hanno invaso la tv è quello che, anche a detta dei suoi colleghi, è il più “serio, quello che davvero ci capisce e non uno dei tanti improvvisati per amore di gloria e di riflettori”. Insieme ad altre 33 persone è accusato di aver truccato concorsi all’Università di Milano. Non c’è alcun rinvio a giudizio né un processo in corso né alcuna condanna.

È andato a Cartabianca, tranquillo e sereno. A una Bianca Berlinguer vagamente inquisitoria ha parlato dell’inchiesta che lo riguarda e che, detto tra parentesi, a non pochi di noi vorrebbe ispirarsi alle grandi chiamate a giudizio di super-processi finiti nel nulla come la mitica trattativa Stato-mafia. Ha quindi specificato che non deve discuterlo in tv ma in tribunale, aggiungendo una stoccata a quel circo mediatico-giudiziario perennemente in attività: “Ho avuto notizia questa mattina, con un avviso di garanzia quando già su tutti i giornali la notizia era presente. Pare debba funzionare così”. Funziona proprio così. Alla faccia del garantismo.

Sempre a proposito del mai abbastanza deprecato circo mediatico, è la volta del Corrierone che, abbandonando il consueto equilibrio, ha dato in pasto ai lettori lo scambio dei messaggi di Luca Morisi con i ragazzi che si sono recati dall’ex guru. I messaggi sarebbero finiti nelle mani di alcuni amici di uno dei due ragazzi coinvolti nella vicenda e da questi si “possono ricostruire alcuni passaggi fondamentali che la Procura di Verona sta cercando di accertare”. Il fatto è che l’intimità di questi messaggi avrebbe richiesto una discrezione nel pubblicarli, tanto più con la scusa di dimostrare l’innocenza dell’indagato, sbattuto così in prima pagina colpito nei suoi costumi sessuali.

Gli esempi, purtroppo, non mancano e non mancheranno. Da ciò l’invito a Salvini, che ultimamente si proclama garantista, affinché nel suo procedere a zig-zag per far vedere che lui c’è, faccia uno stop e inviti Mario Draghi e la ministra Marta Cartabia a dire una parola urgente e definitiva su quella riforma della giustizia che, da trenta anni, somiglia all’araba fenice.

Aggiornato il 08 ottobre 2021 alle ore 09:30