Post elezioni: attenzione alle valutazioni incomplete

Ovviamente qualsiasi, o quasi, analisi del voto parte con la constatazione che si è trattato di un’elezione amministrativa da contenuti, forme e dinamiche assai diverse dalle competizioni politiche. Ma proprio per questa diversità, anche per non cadere nelle scontate autoconsolazioni tipiche di chi non vince (nel nostro caso il centrodestra), sarebbe più utile un’analisi un poco più approfondita di un risultato che, lo sanno anche i bambini, parla da sé un po’ come nei film western; da una parte i buoni che vincono e dall’altra i cattivi che perdono. E si vedrà come questa analisi richieda impegni da vincitori e vinti.

In realtà, ci troviamo davanti a un quadro senza cornice ma in movimento, nel senso che applicata la metafora alla nostra situazione politica, le finalità (i movimenti) delle forze in campo cominciano a delinearsi, da Mario Draghi a Matteo Salvini anche se sono tutti da capire i perimetri delle mosse in atto. Come si ironizzava nei bei tempi andati a proposito di una crisi o crisetta – come l’attuale, ventilata dalla brusca decisione salviniana con uno strappo che sembra fatto apposta per non parlare del flop nell’agognato – essa è certa, certissima, anzi probabile benché, inter nos, la sensazione è che tale mossa sia il preludio della uscita della Lega dal Governo Draghi. Una sorta di Papeete bis e allora non sarà una crisetta. Non si sa se il numeroso staff di Salvini abbia rivolto uno sguardo alla “doppiezza” fra voto e realtà attuale, uno sguardo dal quale trarrebbe qualche riflessione ulteriore ma anche qualche risposta migliore a chi sta dando il centrodestra per spacciato, mettendo in prima fila la sconfitta della Lega.

Se infatti guardiamo i risultati, cominciando dalla Lombardia, notiamo che nel Comune di Milano il successo di Giuseppe Sala e del centrosinistra è strepitoso anche nella sua composizione “politica”, nel senso che ha eliminato qualsiasi aggancio della cosiddetta ultrasinistra a cominciare dal Movimento Cinque Stelle, confermandosi come richiamo riformista. A Milano, città di Salvini, il gap con il centrosinistra è notevole: la sua Lega si aggira poco sopra il 10 per cento, più o meno come il partito di Giorgia Meloni e i due leader hanno rivolto colpe ai loro candidati e al capolista, il povero Luca Bernardo, aggiungendo che costui era uscito di colpo dal cappello del prestigiatore ma dimenticando che il cappello era il loro, pur di non ammettere che le responsabilità della sconfitta sono ben altre. Mentre le ragioni di una più che possibile ripresa della Lega esempio in Lombardia ma, sforzandosi di un necessario cambio di passo tutto politico, stanno proprio in una enorme differenza fra il voto di Milano città e la realtà della situazione, nella regione dove l’attuale consistenza della Lega come traino del centrodestra è al di sopra di ogni sospetto, con tanto di governatore Attilio Fontana leghista della prima ora.

Da una osservazione del genere, si imporrebbero sia per la Lega e per lo stesso centrosinistra due operazioni divergenti ma convergenti allo stesso obiettivo. Si tratta per Salvini di offrire per le grandi città una classe dirigente che abbia una preparazione degna di questo nome, troncando con i troppo facili slogan del bel tempo che fu, aggravati dalla sostanziale ignoranza della complessità del tessuto metropolitano in cui gli elettori sono impietosi nel giudicare unfit a governarli chi non ne è all’altezza. Per un Enrico Letta che brinda oggi, sia pure a ragione, resta comunque non facile il compito di riempire il gap fra i due schieramenti. E non è detto che questo sia colmabile con agilità non soltanto sul territorio ma sul piano politico nazionale, dove sono iniziate le grandi manovre a firma Salvini per destabilizzare proprio quel Mario Draghi cui il Pd ha giurato fedeltà, perinde ac cadaver. Ma quale?

Aggiornato il 08 ottobre 2021 alle ore 09:24