Crisi di Forza Italia: fuga dei liberali e non solo

Il parlare che si fa intorno a Forza Italia è frutto certamente di una crisi ma, al tempo stesso, dell’obbligo implicito sospinto dalle elezioni, in modo particolare quelle di Milano. È stato facile ma anche necessario per “La Stampa” di ieri la ricostruzione di una discesa nei voti che, se paragonata ai successi sia di Silvio Berlusconi che soprattutto di Gabriele Albertini, ha motivazioni ovviamente politiche per un movimento di indubbia ispirazione liberale ma, altrettanto ovviamente, personali, giudiziarie, organizzative che hanno ridotto ai minimi termini l’approccio di nuove energie e consensi laddove, negli anni fra il 1990 e il 2000, l’impostazione e l’azione politica di Berlusconi avevano prodotto una alleanza vittoriosa, sempre più stretta e predominante con la Lega separatista di Umberto Bossi e di un giovane Matteo Salvini che guidava cortei anti-partitici agitando un cappio.

Vent’anni dopo non solo quell’alleanza è tuttora stretta, almeno nei giuramenti reciproci, ma il predominio è ribaltato in attesa di nuove fughe. Il dimezzamento dei voti, dal 20 al 10 per cento in pochi anni e la fuga di parlamentari verso altri porti più sicuri parlano da soli ma raccontano, innanzitutto, della totale assenza in Forza Italia di strutture interne direzionali e decisionali assorbite in toto da una leadership il cui declino ha prodotto quello inevitabile dei consensi, tanto più in presenza di concorrenze nell’alleanza prima di Salvini e poi di Giorgia Meloni.

Al di là dunque delle stesse vicende giudiziarie del Cavaliere, entrato nel mirino di procure e di feroci giustizialisti mediatici, rimarrebbero da valutare i suoi errori non solo gestionali ma comportamentali e, comunque, difensivi anche nei periodi a Palazzo Chigi, come dicono i maligni, nonostante la realtà di ben tre reti televisive di sua proprietà. Questa la premessa per introdurre il tema non sempre fatto di certezze, eppure significativo, della qualità politica dei distacchi ma, soprattutto, della destinataria Lega, senza escludere Giorgia Meloni nella sua marcia verso il centro.

A parte uscite o allontanamenti per così dire eccellenti, quantità e qualità dei loro responsabili si vorrebbero iscrivere per lo più nell’album di un default prevalentemente ideologico-liberale quando invece sono pressati dall’avvicinarsi delle elezioni agli stessi non favorevoli, col risultato di provocare vuoti scissionisti favorevoli a Salvini, che da un po’ di tempo – et pour cause – innalza vessilli nazionali, silenziando il vecchio ma redditizio sbandieramento ideologico di “Roma ladrona, la Lega non perdona!” e puntando sforzi (come sforzandosi) a un Meridione italiano molto avaro con la Lega di oggi e su cui il ministro Giancarlo Giorgetti nutre fortissimi dubbi.

Il fatto è che Matteo Salvini, giovandosi di un “arricchimento” a spese di un movimento liberale e per di più alleato, non comporta automaticamente un sigillo liberale per il suo partito che vorrebbe esserne il destinatario ideologico ma non può, per “la contradizion che nol consente”, per origine, sviluppo e politica attuale, quest’ultima percorsa da forti “impressioni” – per dirla con Giorgetti – differenti proprio sul grande tema, per lo stesso Giorgetti irrisolto dall’amico Salvini, di una impostazione e narrazione liberali nel solco dell’azione di Mario Draghi e degli impulsi dei governatori del Nord.

Bisognerà andarci piano nel giudicare questa Lega il vero nuovo partito liberale e in questo senso erede diretto di Forza Italia, qualifica crediamo non entusiasmante per Salvini, ma che piacerebbe assai a un Giorgetti et simili post-moderni o post antica Lega, con i loro sia pur timidi auspici sempre inquadrati nell’obbedienza più o meno cieca per il Leader che, pur gradendo (favorendo?) arrivi vecchi e nuovi, è a sua volta condizionato anche dalle sue stesse origini e successi di “lotta e di Governo” evidentissimi negli stop and go quotidiani, fino ad ora con effetti di visibilità in concorrenza con Giorgia Meloni e con i successi, di quest’ultima, di vere piazze piene, en attendant i risultati veri e non solo dei sondaggi.

Infine, la crisi di Forza Italia si riflette in queste prossime elezioni amministrative laddove i vuoti di presenza e iniziativa surrogati dal cosiddetto (in Veneto) “fasio tutto mi” del Cavaliere sono riempiti dall’attivismo incessante salviniano che ha voluto se non imposto, come dicono sempre le voci dagli interna corporis, il suo capolista Luca Bernardo, sconosciuto ai più e anche a non pochi dirigenti che attendevano figure significative o addirittura dei giganti dalla mitica società civile. La crisi berlusconiana, sia pure con riprese di fiato in questi giorni, mette tuttavia in chiara evidenza la necessità di un baricentro liberale nel centrodestra, che è o dovrebbe esserne la guida maestra per le non lontane elezioni politiche. Una centralità vera e propria, insomma: ma le contraddizioni storiche e politiche, i cosiddetti interessi di bottega, sia pure legittimi, lo consentiranno?

Aggiornato il 29 settembre 2021 alle ore 09:41