Perché Draghi presidente

Credo che l’Italia perderebbe una grande occasione se Mario Draghi non fosse il prossimo Presidente della Repubblica. È un’opinione personale, ma basata su molte serie considerazioni. Anzitutto la stabilizzazione democratica di un quadro politico che vede ancora ripetersi stanchi tentativi di demonizzazione degli avversari, in una guerra di maschere che utilizza a sproposito il passato remoto, stabilizzazione che si può ottenere solo attraverso un consenso generale, che oggi unicamente Draghi può interpretare. Poi il mantenere sul tavolo i problemi veri del presente e del futuro, da quelli immediati della pandemia a quelli immediatamente successivi di una economia che non potrà continuare ad accumulare debito per molto ancora, da quelli della difesa e della diffusione dei valori di libertà e democrazia che non possono restare solo occidentali, fino a quelli altrettanto generali di una coscienza ecologica che non deve degenerare in isteria irrazionale, ma essere un approccio scientifico vero, ben meditato e compatibile con lo sviluppo.

Draghi tutto questo lo sta già gradualmente facendo e bene, da presidente del Consiglio, dimostrando un senso della misura, forte e risoluto, che era la divisa di quel Camillo Benso conte di Cavour da lui citato nel discorso di investitura ma non dobbiamo illuderci: se c’è un’istituzione costituzionalmente instabile in Italia quella è proprio il Governo e magari tra sei mesi, o un anno, Draghi potrebbe uscire di scena per un qualsiasi infortunio, precipitandoci di nuovo in governi deboli preda di veti contrapposti e privi di reale considerazione internazionale.

Ben diversa sarebbe la situazione se fosse capo dello Stato, perché per sette anni sarebbe al vertice di quella che, nel tempo, si è dimostrata la più decisiva delle nostre istituzioni – perché la più stabile – e da dove sarebbe un sicuro punto di riferimento. E non è affatto vero che ciò significherebbe la fine della legislatura, come temono parlamentari preoccupati per la riduzione dei seggi, perché la legislatura e l’opera di Draghi sarebbero molto più probabilmente proseguite, con larga maggioranza, da un altro capo del Governo, scelto in ogni caso immediatamente proprio da Draghi, perché obbligatoriamente dimissionario da premier (un nuovo Carlo Azeglio Ciampi, tanto per fare un esempio fuori dalle cronache attuali).

Se oggi avremmo difficoltà a eleggere sinceri democratici e pure di grande esperienza, come Silvio Berlusconi o Romano Prodi, poiché, al di là della loro reale storia e personalità, sarebbero visti inevitabilmente come controversi e divisivi (anche se Prodi significherebbe una vera occidentalizzazione della sinistra e Berlusconi mi farebbe personalmente piacere) è anche perché perdura una artificiosa guerra di parole che nessuno vuole smettere per primo, vittime tutti del ruolo in commedia che ci hanno assegnato (o che ci siamo assegnati). Draghi sfugge completamente a questo, perché – per sua e nostra fortuna – la sua è una carriera di successi tutti ottenuti al riparo delle polemiche politiche preconcette e, dunque, sarebbe davvero anche un garante, così che dopo le elezioni, a scadenza naturale, nessuno degli schieramenti che avesse ottenuto una maggioranza, almeno relativa, rischierebbe di vedersi negare la possibilità di provare a costituire un Governo.

L’elezione di Draghi, anzitutto per suo merito, ricorderebbe probabilmente il “connubio” (ancora Cavour) niente affatto un inciucio di corto respiro o paralizzante. Sarebbe anche una doppia legittimazione, della sinistra come della destra, di cui, anche se non lo credono, hanno entrambe bisogno per guidare una Nazione che da troppi anni, bloccata dalle contrapposizioni, ristagna sia in economia che in politica e con istituzioni che andrebbero possibilmente ammodernate. Insomma, le considerazioni critiche sul significato che potrebbe assumere l’elezione di uno statista assai poco tributario dei partiti sono invece, a mio avviso, ulteriori buone ragioni per sostenere una presidenza Draghi, oltre al fatto incontrovertibile che è l’unico a poter vantare un largo sostegno bipartisan.

In ogni caso l’assoluto rigore istituzionale, con cui Draghi ha sempre ricoperto i suoi ruoli, non lascia dubbi che non eserciterebbe nessuna forzatura, per cui sarebbero sempre il Parlamento e le forze politiche a decidere azioni, programmi e necessarie riforme e, in tutti i casi, avremmo comunque al vertice delle istituzioni il migliore dei nostri tecnici e, soprattutto, il migliore garante degli spazi democratici di tutti. Da orgoglioso leghista di ideologia liberale la vedo molto semplicemente così: l’Italia non può restare paralizzata dal richiamo che le forze estreme, più o meno extraparlamentari, esercitano sulla destra e sulla sinistra non dico moderate, perché è una parola che non mi piace (la moderazione nel difendere la libertà non è una virtù), ma razionali.

Con Draghi nessuno dei partiti potrebbe realmente dire di avere vinto, nessuno potrebbe pensare di condizionare dal Colle il libero formarsi delle maggioranze, nessuno potrebbe vantare una facile rendita di posizione e il nostro prestigio internazionale ne sarebbe inoltre accresciuto. Arriveremmo così verosimilmente alle elezioni in un clima di maggior rispetto democratico e, dopo le elezioni, il centrodestra (come spero io) o il centrosinistra potrebbero finalmente governare e fare riforme con un programma chiaro e coerente, non dico tranquillamente, ma almeno senza le ridicole barricate che una finta guerra santa impone ancora di esibire agli spettatori. L’Italia potrebbe tornare, così, sulla strada dello sviluppo, come in passato ha ben saputo fare ed essere una guida anche per l’Europa nella sua necessaria costruzione. Ecco perché Draghi presidente.

Aggiornato il 03 settembre 2021 alle ore 08:54