L’impressione generale è che la magica e orrenda parola gridata da Beppe Grillo a destra e a manca sia ormai più che desueta. Svanita, finita, comunque non ricevuta anche perché non più pronunciata. E pronunciabile.

Il “vaffa” fu a un tempo lo slogan e il contenuto di un programma, il grido strozzato di un Movimento che non sapeva dove andare se non a gridare nelle piazze. Erano contro tutto e contro tutti presentando quel “no” come un salvacondotto in mezzo alla politica (tutta) corrotta, impresentabile, giammai frequentabile. Correva il tempo dell’antipolitica. Ci si chiede ora che fine abbia fatto quella parola e perché, posto che il quadro generale non ha subito cambiamenti radicali.

Dunque: et plus ça change, plus c’est la même chose? Può darsi, ma a guardarci bene dentro e in questa che non vuole essere una analisi ma una considerazione, si può affermare innanzitutto che l’effetto Draghi si è fatto sentire. Da febbraio il nuovo premier (e fin da subito) ha smentito i profeti in lacrime sull’avvento di un non politico, non partitico, un tecnico al governo come se il presidente della Banca centrale europea non dovesse fare lui stesso politica. Si parlò della crisi dei partiti cui aveva posto rimedio un attento Sergio Mattarella. E su questo non ci piove. Ma più che di crisi sarebbe forse più opportuno parlare di una scarsissima attenzione di una parte della Polis nei confronti, innanzitutto, dei cambiamenti a livello internazionale, negli Usa, dove la vittoria di Joe Biden ha chiuso l’epoca di Donald Trump a suo modo ispiratore di diffusi sovranismi e antieuropeismi. E se a costui fu sacrosanto dai partiti amici gridare “welcome”, non altrettanto lo fu e lo è riguardo a Biden, il suo opposto.

Il fatto è che l’Europa ha giocato, gioca e giocherà un ruolo importante nella politica italiana se vero come è vero che Matteo Salvini con in mano il successo ha cambiato di molto l’originale antieuropeismo, la sua una scelta necessaria per i prossimi appuntamenti allo stesso modo, più o meno, che le recenti manovre di Giorgia Meloni, vedi l’incontro con Silvio Berlusconi, tendono a superare le diffidenze continentali per le sue note origini.

Un quadro in un movimento del quale non poteva essere immune un Movimento 5 Stelle salito al governo di cui aveva detto fino al giorno prima peste e corna, mettendo così in sordina il grillismo urlante in favore di un contismo tanto moderato quanto opportunista.

L’opportunismo. Non una scelta politica maturata in riflessioni, proposte e pentimenti sui disastri provocati, ma la difesa whatever it takes del potere. Ma, ora, senza più quell’osceno grido del “vaffa”. Contro Mario Draghi, poi. E l’antipolitica? E l’antieuropeismo? E come la mettiamo con i partiti infettati dal virus dell’antipartitismo? La risposta, secca e ultimativa ci viene da Luigi Di Maio, il vero leader pentastellato: “Niente scossoni, chi minaccia il Governo affossa la ripresa del Paese”.

Violini, dissolvenza, fine.

Aggiornato il 07 agosto 2021 alle ore 11:34