Lega: una federazione per la libertà

Fu all’inizio del secolo scorso che un grande conservatore liberale, Sidney Sonnino (uno dei protagonisti di quel Patto di Londra che ci schierò con gli occidentali nel primo conflitto), manifestò per primo l’esigenza di un partito liberale di massa, conscio che il suffragio universale avrebbe inevitabilmente (e in breve tempo) provocato la fine di quell’Italia dei notabili, che aveva saputo davvero unire e modernizzare la Nazione, governando però grazie al suffragio ristretto.

Era una realistica presa d’atto dell’irrompere delle grandi masse nella vita pubblica, ma insieme una ottimistica convinzione che si potessero convincere all’ideale e al metodo della Libertà. E oggi, che le leggi non scritte dell’informazione privilegiano i messaggi corti, le sensazioni immediate, le appartenenze volatili, oggi che insomma siamo diventati, seguendo l’esempio americano, una “democrazia psicologica”, con ondate mediatiche successive, improvvise e violente, il problema è ancor più d’attualità.

E qui, non certo a caso, si inserisce la proposta di Matteo Salvini di una federazione del centrodestra, non necessariamente limitata (anzi) alla componente governativa, ma almeno a partire da questa. Una cosa da ripetere poi sul piano europeo, per meglio difendere con messaggi chiari quell’Europa illuminista, liberale e cristiana che storicamente resta, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, il più bel risultato di evoluzione democratica e civile, in un mondo che, tra Repubbliche teocratiche, derive comuniste e dittatori tribali, si presenta sempre come un pericoloso focolaio di gravi tensioni.

Oggi si fa un gran parlare, per difenderla o negarla, di una Lega liberale, per le ripetute dichiarazioni di Salvini su una “alternativa liberale” leghista, per la difesa liberista delle aziende dai troppi lacciuoli e del cittadino dalle troppe tasse, per la difesa dei diritti costituzionali dagli stati di emergenza, per la convinta partecipazione al Governo Draghi (dove i ministri che sembrano più a loro agio sembrano proprio Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia), per gli importantissimi referendum garantisti sulla giustizia coi Radicali e, infine, per quel “liberalismo popolare e nazionale” legato al campanile, che la Lega riesce bene ad incarnare, ormai al Nord come al Sud.

Il problema è di vedere se la giusta intuizione di Silvio Berlusconi della necessità di un grande partito liberale da lui creato dall’alto (per supplire di corsa al crollo dei partiti centristi) con i suoi mezzi e la sua enorme capacità, ma scarso perciò di quadri militanti sul territorio e quindi meno strutturato, sia realizzabile a partire dal basso utilizzando la capillare, entusiasta e rodata militanza leghista.

Io credo proprio di sì, perché i Dna politici sono compatibili. I partiti politici infatti hanno un’identità, una storia e, anche al di là di una completa consapevolezza, hanno radici che non si possono recidere completamente, pena la morte della pianta e però, per buona fortuna del progetto, le radici della Lega sono compatibili. La Lega, infatti, non ha mai avuto nel suo orizzonte ideale un Georg Wilhelm Friedrich Hegel con le sue diramazioni di sinistra e destra e le sue implicite conseguenze statolatriche, ma casomai Carlo Cattaneo, Alexander Hamilton, Thomas Jefferson – il federalismo americano insomma – e, oggi, la crescita impressa da Salvini ha aggiunto quella dimensione nazionale, patriottica e religiosa, tipica di quel modello di federalismo.

In questo senso io non parlerei di svolta liberale della Lega, ma piuttosto di nuova consapevolezza di un partito che, nato dal basso tra persone che volevano sentirsi cittadini e non sudditi, era già istintivamente liberale e che ha imparato ormai a riconoscere anche nel campanile degli altri il proprio, che vuole pur sempre sacrosantamente difendere. Anche sull’Europa la Lega è sempre stata, fin dalle origini, convintamente favorevole al federalismo europeo, a differenza delle sinistre italiane, oggi neo-convertite, ma che furono violentemente contrarie alla costruzione di Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman e non votarono favorevolmente neanche ai Trattati di Roma, (votati invece anche da monarchici e missini).

La Lega si è insomma sempre sentita europea, ma anche qui ha rivendicato e rivendica la difesa dei cittadini italiani in nome dell’uguaglianza reale di tutti gli europei e del principio di sussidiarietà, troppo spesso dimenticato da un’Europa che fatica a raggiungere una necessaria dimensione politica, ma che ha dato vita talvolta ad una burocrazia pignola e ipertrofica, cosicché – mi par chiaro – anche qui c’era e c’è una chiara impronta liberale. Se Salvini parla e propone solo una federazione è perché per questa ci sono tutte le pre-condizioni, mentre non si può ancora parlare di partito unico, perché la democrazia, se realmente praticata dal basso, ha bisogno di tempi di maturazione, di reale convincimento, di progressivo coinvolgimento, altrimenti si rischia o di perdere per strada qualcuno (e potrebbe essere più di qualcuno) o di dar vita a qualcosa di effimero e destinato a durare poco.

E del resto si è già visto. La rotta è comunque tracciata, all’Italia serve uno schieramento di forze a difesa della libertà, politica, economica e religiosa, del nostro diritto di operare, viaggiare e vivere come meglio crediamo, delle nostre tradizioni, lingua e costumi. E servirà anche all’Europa se, seguendo l’esempio di Berlusconi e Salvini, i partiti moderati e conservatori europei sapranno aprire anche alle destre democratiche per fermare una sinistra, ormai nichilista, che ha perso ogni fiducia nel progresso e nel futuro.

La storia e la credibilità internazionale di Berlusconi e del suo partito, la compattezza, lo spirito di corpo e l’abnegazione della Lega e del suo gruppo dirigente, possono ricreare le condizioni per porre fine alle aberrazioni del dirigismo economico, del politically correct e del comunismo di ritorno, tornando a quello spirito liberal-nazionale ed europeo che fu della Destra Storica e cioè del momento migliore del nostro progresso nazionale. Luigi Einaudi, nel 1946, ammoniva: “Come conciliare l’irrompere delle grandi masse nella vita pubblica, senza cadere nel Cesarismo e nella Tirannide, è il problema tuttora irrisolto delle grandi democrazie”. La progettata federazione può essere la risposta italiana a questo problema.

Aggiornato il 01 luglio 2021 alle ore 09:27