Milano senza capolista del centrodestra… per ora

Non c’è che dire: fra la troupe politica milanese di centrodestra il più lucido è ancora il Cavaliere. Non sembri una battuta la nostra ma la constatazione che nel corso degli alti e bassi di questa vigilia elettorale tutti gli altri (che poi è il solo Matteo Salvini) ci hanno dato dentro a intorbidare le acque in un quadro che già di per sé era confuso al massimo, quasi incomprensibile: ci riferiamo al quadro delle candidature o meglio dei capilista.

Nel momento in cui Silvio Berlusconi è uscito con la proposta del partito unico di centrodestra, la corsa e la rincorsa a indicare tizio e caio (ci scusino gli interessati) s’infervorava e qualcuno ha insinuato che il silenzio berlusconiano fosse il segnale di una resa, quando invece voleva indicare una sorta di curiosa attesa, di un laissez faire, laissez aller nella consapevolezza che una corsa così organizzata fosse la meno indicata e fruttifera per i proponenti e, a volte, per gli stessi coinvolti.

Matteo Salvini giustamente rivendica un sindaco leghista per Milano dopo la permanenza di Beppe Sala, una permanenza nel quadro di un centrosinistra che per l’immediato futuro il primo cittadino uscente desidera allargare al Movimento Cinque Stelle.

Il fatto, anzi uno dei fatti, è che fin dalle prime battute l’incertezza maggiore verteva proprio sulla figura del nuovo sindaco con la solita girandola di nomi. E quando ci si è fermati su Oscar Di Montigny è riapparso Gabriele Albertini con l’offerta di essere disposto a ricoprire il ruolo di vicesindaco per aiutarlo. Un’autoproposta ad adiuvandum quanto mai stravagante, sia perché segnalava la debolezza del candidato ufficiale sia perché una mezza candidatura non solo è riduttiva per un personaggio come Albertini, ma non è di per sé sufficiente a garantire masse di preferenze le quali semmai possono derivare da una solida organizzazione del consenso. Tanto più solido questo consenso organizzato quanto meno è attrattiva, in una elezione amministrativa, la figura del leader nazionale, anche quella di Salvini.

L’ultimo fatto in ordine di tempo è la rinuncia di Di Montigny e il suo ritiro dalla corsa di sindaco, alla quale peraltro non si era affatto auto-proposto ma allo stesso tempo ha preso atto che “non c’è stata un vera condivisione di progetti e di idee per una Milano a lungo termine... ho incontrato la base dei partiti ma non sono riuscito a condividere la mia visione con i leader”. In altre parole non è riuscito a incontrarli.

Cosicché, a meno di cento giorni dalle elezioni, il centrodestra a Milano è privo del capolista. Niente di grave, intendiamoci, giacché la caccia al candidato è subito iniziata: parola di Matteo Salvini. Purché non dimentichi che già altre candidature, non meno significative come quella di Maurizio Lupi, sono state bloccate dai veti (di Albertini) e che, comunque, una sfida come quella di Milano necessita di un approccio meno superficiale, meno personalistico, meno solitario, meno raffazzonato.

Si invoca sempre l’unità ma ci si dimentica che questa comincia prima del voto, quando si compongono le liste. Altrimenti altre figuracce, se non peggio, incombono. A meno che non si richiami in servizio permanente effettivo Silvio Berlusconi.

(*) Nelle ultime ore un altro nome compare tra quello dei papabili candidati alle prossime elezioni comunali. A mettere d’accordo il leader della Lega Matteo Salvini, quella di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il Cavaliere potrebbe essere Andrea Farinet. Da Forza Italia spiegano che quello del docente universitario “è uno dei nomi civici che stiamo valutando” ed è “apprezzato”, secondo fonti della Lega, anche perché corrisponde all’identikit fatto nei giorni scorsi da Salvini: candidato civico che “unisce il mondo dell’insegnamento a quello dell’impresa e all’attenzione al sociale”, con “due lauree e che ha insegnato e insegna in due prestigiose università”.

Aggiornato il 30 giugno 2021 alle ore 09:12