Chi ha paura dei sondaggi cattivi

Nel gran parlare dei sondaggi che quasi ogni giorno inondano i media – e a volte fanno boccheggiare i partiti per qualche segno meno – si va dimenticando non solo la loro funzione ma anche il grado di credibilità di verità.

Il sondaggio, ad essere buoni, è una indicazione di massima e certamente non può e non deve essere ignorato, perché chi guida un partito come ascolta le diverse voci (diciamo pure pettegolezzi) così deve seguire gli andamenti dei consensi o dei dissensi tramite sondaggi. Ha ragione “Libero” nel consigliare al centrodestra di ignorare i sondaggi, tenendo pur presente che la sistematicità della crescita di Giorgia Meloni suggerisce considerazioni meno ipotetiche e fantasiose sul suo futuro elettorale, sol che si pensi che dalla Europee a oggi il partito Fratelli d’Italia è passato da peso piuma a peso massimo. Ma va anche aggiunto che mai un sondaggio ha privilegiato la forma o le forme trasmesse con i mass media e tanto meno con accompagnamenti pubblicitari, benché la potenza di questi sia un indispensabile volano di consensi prima e dopo il voto. Ciò che sostiene e ne spiega il successo (o l’opposto) è, né più né meno, che la politica.

Il caso Meloni è in questo senso esemplare per lo stesso osservatore o critico non necessariamente votante per FdI che, forse anche per la sua neutralità, è più facilitato nel compito di separare i fatti dalle opinioni nel senso e nella misura con cui qualsiasi analisi per un giudizio meditato e non partigiano comporta una riflessione complessiva, che è anche storica ma al tempo stesso cronachistica e necessariamente coinvolta, specialmente nella composizione di parallelismi e di confronti che nel caso di Giorgia Meloni riguardano, come è ovvio, un centrodestra che assume dai sondaggi a ripetizione atteggiamenti oscillanti anche e soprattutto perché, confondendo la vox del sondaggio con la vox populi, il rischio di peggiorare è sempre possibile. A maggior ragione se, come in questo caso, gli opinion maker del centrosinistra non si stancano di mettere in risalto un potenziale (e augurabile da loro) quadro interno di frustrazioni, guerre o guerricciole e rincorse.

E se la competizione in questa fase vede la Lega di Matteo Salvini non più stabile al primo posto ma con a ruota se non davanti il partito della Meloni, è facile prevedere l’avvento di possibili conflitti interni (naturalmente col sorriso sulle labbra) e aggiustamenti in corsa solo che a ben vedere, e lo stesso Salvini lo sa, la scelta meloniana di stare all’opposizione del Governo Draghi costituisce di per sé una indubbia rendita di posizione, senza mai dimenticare che si tratta di una scelta politica, come del resto la leader di FdI da tempo aveva delineato.

C’è però un punto sul quale le riflessioni non possono esaurirsi in una alzata di spalle e riguarda la forte tenuta del centrodestra in Italia che detiene nel suo complesso, sondaggi sì o sondaggi no, un’ampia maggioranza nei confronti di un centrosinistra al quale gli sforzi di Enrico Letta non pare abbiano portato grandi rimedi, anche e soprattutto perché la formula di Salvini, Meloni e Silvio Berlusconi è di gran lunga maggioritaria nel Paese. E su ciò si giocheranno i destini elettorali prossimi venturi, anche se le Amministrative sono sempre un terreno meno agevole per il centrodestra.

Per il resto, sarebbe un bene per tutti i partii ricordarsi della politique d’abord. E non avere paura dei sondaggi cattivi.

Aggiornato il 17 giugno 2021 alle ore 09:22