
Intanto non è vero che la diatriba sul doppio incarico sia nuova o recente in questi anni surriscaldati dalla veemenza di un Movimento 5 Stelle nei suoi passaggi dalla lotta al Governo. La questione è stata posta in diverse e lontane legislature: i maligni sospettavano – non senza ragione – che quel “no” fosse prevalentemente scattato in molti di coloro falliti alla rielezione e, dunque, smaniosi di una rivincita.
Fatto sta, trasportata ai nostri giorni, la vexata quaestio produce non pochi mal di pancia soprattutto all’interno di quel M5S non estraneo ma anzi promotore della rincorsa verso nuove, “nuovissime riforme dello stato delle cose” nella mal riposta convinzione che simili ritocchi possano catalogarsi nell’album riformista e non. Piuttosto, in una delle frequenti aggiunte di portata normativa tenendo comunque presente il solito, immarcescibile, ultra-garantito “cui prodest?”, cioè a se stessi.
Aveva cominciato Beppe Grillo qualche anno fa a lanciare la sua fatwa contro chiunque volesse approvare, nel “suo” Movimento, la linea di un doppio mandato condannato perché “assolutamente negativo e di ostacolo per i giovani”. Ma va ricordato, a questo proposito, che fra i molti in silente disaccordo con il capo il solo Luigi Di Maio rispose apertis verbis che quel “no” (di Grillo) era avvilente. Non solo avvilente, aggiungiamo noi, ma capzioso alla stregua di un vero e proprio dogma con l’effetto finale di lasciare al solo leader le scelte sulle stesse persone, al di là delle valutazioni di merito ma piuttosto sul grado di fedeltà.
La logica o per meglio dire l’ideologia dell’uno vale uno che ha costituito di fatto, condizionandone le scelte, la politica di Grillo, si sta comunque attenuando non foss’altro perché le attenzioni grilline sono dirette verso ben altri problemi. E non a caso c’è qualcuno nel M5S che parla di valorizzazione delle esperienze, di valutazione delle capacità, di giudizi e di decisioni che rifiutino “dogmi inaffrontabili” mentre sullo sfondo cresce la leadership di Luigi Di Maio e quella di Giuseppe Conte è messa a dura prova dalle alleanze future con un Partito Democratico non più disposto a firmarle ad occhi chiusi, come ai bei tempi di Nicola Zingaretti.
In un contesto del genere, la diatriba sul doppio incarico vale a dire sul prevalente e ribadito “no” – di cui è il migliore interprete Alessandro Di Battista in giro per il mondo – è destinata ad uscire dalla confusione e dal disordine che contraddistinguono spesso la politica grillina, indirizzandola verso criteri diversi e obblighi nuovi in ambiti nei quali lo scontro politico che spiccava su tutto e tutti è costretto a fare i conti con les autres, con gli altri. E con se stessi.
Aggiornato il 14 giugno 2021 alle ore 11:15