Centrodestra, tempo di visite a Fatima e Palazzo Chigi

Non è una battuta ma la verità: chi va a Fatima (Matteo Salvini) e chi a Palazzo Chigi da Mario Draghi (Giorgia Meloni). Viene facile un doppio pensiero, che sono visite non occasionali, non tanto o non soltanto per scelte che hanno a che fare con la Polis dati i personaggi, ma per le apparentemente opposte motivazioni delle stesse.

Nel contempo, le ragioni salviniane del pellegrinaggio e nell’invocazione alla Madonna con l’offerta di “due ceri uno per i miei figli, uno per il mio popolo” in nome, anche, di una auspicata unità (del centrodestra, soprattutto) fanno prevalere un retropensiero squisitamente politico, che ha a che fare proprio con Giorgia Meloni e il suo viaggio-visita direzione Mario Draghi. Il mix di umano e di divino, senza scadere in sfacciati ex voto, è dunque un pretesto salviniano, sia pur nobile, per una riflessione pubblica nella quale la preoccupazione del leader della Lega ha a che fare con la nuova situazione interna al centrodestra, dove la crescita di Giorgia Meloni, canonizzata mediaticamente da una lunga intervista sul “Corriere della Sera”, pone oggettivamente una qualche questione a proposito dei futuri esiti personali ai vertici della coalizione, con quella che è dai più definita una sicura vittoria elettorale.

Una vittoria nella quale la probabilità di un sorpasso dei consensi della Meloni è destinato a qualcosa di diverso da una “lotta in casa e vinca il migliore” ma a un venir meno o almeno ad un raffreddarsi delle legittime aspettative salviniane per Palazzo Chigi. Aspettative che Salvini ha metodicamente perseguito con scelte per lui inedite, con una svolta verso l’area centrale dello scacchiere politico scandendo principi funzionali ad una governabilità ampia, dove siano assenti o smorzati i toni da comizio di Paese e, specialmente, le ostilità all’Europa non meno che quelle forme di populismo sfrenato e di giustizialismo cui sembrano ora delegati i pentastellati, divisi a loro volta sulle “diversità” del nuovo Luigi Di Maio.

Quanto a Giorgia Meloni, definire la sua intervista come replica al competitor Salvini è quanto meno riduttivo, se non fuorviante ma lo stile esplicito, le risposte dirette e le decisioni immediate confermano una leadership il cui parlare è il “sì-sì, no-no” come nel caso della fusione proposta da Salvini e respinta nettamente dalla Meloni che, invece, auspica un maggior coordinamento, ripropone ufficialmente Enrico Michetti come primo cittadino di Roma perché “lui è un mister Wolf per i sindaci, lo chiamano per risolvere i loro problemi”, riconferma il suo ruolo all’opposizione apprezzando la decisione di Draghi di riceverla, chiederà meno chiusure e più aperture e così via.

È tempo di cambiare target, messaggio, strategia. Basta piazze (un memo per Salvini?) come suggerisce il quotidiano milanese, prendendo proprio dalla Meloni lo spunto di una vis polemica e politica affidata ai social. Ma quali social, risponde lei: “Se cresci è perché vince il tuo messaggio, quello che dici, non il mezzo con cui lo diffondi!”. Vale anche per il Corrierone?

Aggiornato il 04 giugno 2021 alle ore 10:58