Cinque Stelle senza capo né coda

Nel Movimento Cinque Stelle c’è stato un terremoto dell’ottavo grado della scala Richter ma i media ne hanno parlato poco perché non si può disturbare il manovratore (Mario Draghi) con la richiesta, ancorché legittima, di un certificato di esistenza in vita della creatura politica di Beppe Grillo e del defunto Gianroberto Casaleggio.

Il Paese vive un momento delicato. Tutti gli sforzi sono diretti a chiudere la funesta stagione pandemica. In vista di questo obiettivo c’è stata una generale chiamata alle armi alla quale quasi tutti i partiti presenti in Parlamento hanno risposto affermativamente. Anche il Cinque Stelle, che in termini di numeri parlamentari resta la prima forza politica presente sia alla Camera sia al Senato. Di loro, quindi, c’è ancora bisogno anche se non si capisce più cosa siano. E se siano, in quanto realtà politica in grado di sostenere un’offerta programmatica autonoma e compiuta. A un certo punto della loro travagliata storia sembrava che un leader idoneo a rappresentare il Movimento e a trascinarlo fuori dalla palude delle contraddizioni nella quale era precipitato vi fosse. L’uomo del futuro pentastellato avrebbe dovuto essere Giuseppe Conte. Ma lui, l’avvocato delle mezze misure, delle “interlocuzioni” che non portano da nessuna parte, continua a tentennare. Insomma, lo è o non lo è il capo che Beppe Grillo avrebbe voluto calare dall’alto sulla testa di un popolo (grillino) sempre più inquieto e disilluso? Vallo a sapere.

Si dirà: c’è l’Associazione Rousseau, con la sua piattaforma digitale, a garantire l’ordinario funzionamento del cervello creativo del Movimento. Sbagliato! Da qualche mese tra Davide Casaleggio e i parlamentari del Cinque Stelle è guerra aperta. Il pomo della discordia sarebbe il mancato pagamento, da parte di molti eletti grillini, delle quote dovute a Rousseau per garantirne il funzionamento. Ma si tratta di una verità di superficie. Al fondo c’è la definitiva divaricazione tra la testa pensante – l’Associazione che fa capo a Casaleggio junior – e il corpaccione del Movimento che presidia gli scranni istituzionali. Mentre a Milano, dove ha sede operativa Rousseau, si combatte per difendere la “purezza” del progetto iniziale, sostanzialmente derivato dalla visione della società e della democrazia diretta prefigurata da Gianroberto Casaleggio, a Roma i portavoce della prima e della seconda ora della politica direttamente partecipata dai cittadini e non intermediata dalla forma partito hanno scoperto quanto avesse visto lungo il compianto Giulio Andreotti nel sentenziare che: il potere logora chi non ce l’ha. E visto che loro, i grillini in doppiopetto, il potere l’hanno occupato, non hanno alcuna voglia di mollarlo per inseguire un’utopia.

Perciò, per restare a galla e sperare di sopravvivere a se stessi, i vari Luigi Di Maio, Roberto Fico e il codazzo di fedelissimi a seguire hanno pensato bene di farsi concavi e convessi pur di mantenere la cadrega. E il vincolo dei due mandati a cui attenersi in quanto principio costitutivo del Movimento? Un arnese del vecchio armamentario propagandistico del Cinque Stelle della prima ora del quale disfarsi al più presto. Casaleggio il giovane non l’ha presa bene. Da qui, col pretesto del debito accumulato dai parlamentari grillini morosi, ha interrotto il servizio offerto al Movimento tramite l’accesso alla piattaforma digitale, come farebbe l’Enel con i cattivi pagatori. Lo stop al collegamento ha come principale conseguenza l’interruzione del canale di dialogo tra il vertice dell’organizzazione e la base degli iscritti. Ne consegue che, al momento, il Cinque Stelle è un accrocco di capi, capetti e sottocapi che non ha una base di militanti alle spalle. Condizione che non vanta significativi precedenti nella storia repubblicana.

Resta, o almeno restava, finora la figura indefinita di un improbabile reggente nella persona di Vito Crimi. Un “mezzemaniche”, scelto per anzianità di servizio, a rappresentare il Movimento dopo le dimissioni dall’incarico di Luigi Di Maio, l’unico a essere stato votato come leader dalla base degli iscritti della piattaforma Rousseau. Era il 22 gennaio 2020 quando l’enfant prodige di Pomigliano d’Arco si sfilò la cravatta donatagli da Gianroberto Casaleggio come gesto simbolico della sua detronizzazione. L’allegoria: la cravatta come scettro per raccontare l’abdicazione di un leader. La fine della stagione del capo assoluto si consumava con l’accoglimento da parte della base degli iscritti della proposta di restaurare la funzione collegiale per la guida del Movimento. Complice la pandemia e i troppi sussulti interni, i grillini hanno impiegato un anno per definire la modifica dello Statuto che di fatto reimpiantava l’organo collegiale alla testa dell’organizzazione. Il 17 febbraio 2021, con 9.499 Sì (79,5 per cento) contro 2.448 No (20,5 per cento), gli 11.947 partecipanti al voto sulla piattaforma Rousseau si pronunciavano a favore dell’eliminazione del capo politico unico e della contestuale introduzione di un Comitato Direttivo composto da 5 membri, per la durata di 3 anni, al cui interno sarebbe stato individuato il rappresentante legale del Movimento.

Nel frattempo, Vito Crimi il “grigio” restava lì, nel suo incarico, a guardia del bidone vuoto di benzina. E da reggente provvisorio, il primo precario d’Italia, si è fatto le elezioni in sette regioni con risultati disastrosi, la campagna del Conte bis e, in successione, quella per la composizione del Governo Draghi. Nel mezzo, un filotto di nomine nelle partecipate di Stato e negli incarichi nella Pubblica amministrazione che hanno consentito di estendere la rete d’influenza grillina. Ma anche una vagonata di espulsioni di tutti coloro che si erano messi di traverso alla nascita del Governo Draghi. Stando allo Statuto riformato si sarebbe dovuto procedere sollecitamente all’elezione dei cinque saggi del costituendo Comitato Direttivo. Ma le trame interne e, soprattutto, la paura che la votazione degli iscritti si trasformasse in un plebiscito a favore dell’eretico Alessandro Di Battista hanno rallentato le procedure elettorali interne per poi depistarle verso un binario morto.

Fino al momento in cui “l’elevato” Beppe Grillo ha deciso motu proprio di consacrare Giuseppe Conte come leader del nuovo corso grillino, letteralmente fregandosene di come la base degli iscritti si fosse espressa riguardo all’eliminazione della figura dell’uomo-solo-al-comando. Nell’attesa dell’incoronazione del nuovo sovrano Vito Crimi è rimasto al suo posto di reggente, immobile come un palo della luce. Peccato però che dalla Corte di Appello del Tribunale Cagliari sia arrivata una bordata dritta alla chiglia della navicella grillina. I giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Vito Crimi contro il decreto del presidente del locale Tribunale che aveva accolto l’istanza d’impugnazione del provvedimento d’espulsione dal Movimento presentato dalla consigliera regionale grillina, Carla Cuccu. Contestualmente, la Corte ha confermato la nomina di un curatore speciale per il Cinque Stelle, come stabilito dal giudice di prima istanza. Per effetto della sentenza, la consigliera Cuccu è reintegrata nel Movimento. La motivazione con la quale i giudici dell’Appello hanno dichiarato inammissibile il ricorso di Vito Crimi ha riguardato il difetto di legittimazione del reggente a stare in giudizio in rappresentanza dell’Associazione Movimento Cinque Stelle.

Tutto ciò, tradotto in linguaggio corrente, significa che: il Movimento non ha un rappresentante legale e quindi neanche un capo; la pronuncia in Appello crea un precedente per tutti gli eventuali ricorsi che gli espulsi da Vito Crimi vorranno presentare; il loro rientro, imposto per via giudiziaria, modificherà i rapporti di forza interni che hanno portato alla rottura con l’Associazione Rousseau; i tempi per un sempre più improbabile arrivo di Giuseppe Conte alla guida del Movimento si allungano, dovendo essere preventivamente modificato lo Statuto con la reintroduzione della figura del capo unico; la modifica statutaria non si può fare fin quando Davide Casaleggio non ristabilisce il servizio della piattaforma digitale, cioè fin quando non saranno saldati i debiti pregressi; se pure si volesse risolvere in via formale il pasticcio decidendo di convertire la figura del leader in quella statutariamente consentita di presidente del Comitato Direttivo, Giuseppe Conte non potrebbe essere della partita perché per candidarsi a componente del Comitato Direttivo bisogna essere un iscritto al MoVimento 5 Stelle almeno dalla data del 30 giugno 2020. E lui non lo è.

Intanto, Vito Crimi è privato di ogni potere. E il Cinque Stelle? Rivolgersi a Silvio Demurtas, il curatore speciale del Movimento nominato dal Tribunale di Cagliari. Tocca a lui adesso decidere le sorti del Paese essendo l’unico legittimato a parlare in nome e per conto del primo partito italiano. Se non è follia questa.

Aggiornato il 10 maggio 2021 alle ore 09:18