L’Europa desiderata

In questi giorni il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha affrontato di petto un tema tanto complesso, quanto vitale. Unico tra i capi di Stato e di governo, al Consiglio europeo della scorsa settimana è “andato oltre” il contingente, mettendo sul tappeto la vera questione della quale gli Stati membri dovranno farsi carico per assicurare all’Unione, allentata la morsa pandemica, un futuro unito e rilanciarne l’economia: la sua integrazione, ad iniziare da quella fiscale.

Perché questo aspetto è così importante? E perché Draghi l’ha riproposto proprio ora, parlando di debito comune fra gli Stati? Andando al succo, si può dire questo. L’Unione e i singoli Paesi troveranno sulla loro strada tre macigni che, se non rimossi rapidamente, potrebbero determinare l’arresto del loro cammino: i debiti pubblici, i sistemi di spesa e quelli di tassazione.

Questi aspetti costituiscono, tutti insieme, la questione fiscale intorno alla quale ruota l’integrazione, delle vere e proprie mine inesplose poste a fondamento dell’Unione stessa. Se disinnescate, il processo avviato nel dopoguerra riuscirà finalmente a fare un passo in avanti; se rimosse dalle agende politiche, invece, potrebbero trasformarsi in torce incendiarie e far collassare l’intero edificio.

Ognuno di questi temi – debito, spesa, tasse – può essere esaminato in chiave politica, economica, sociale, giuridica, nazionale e internazionale. Prima, però, c’è un’altra prospettiva da prendere in considerazione: quella etica. Il tema etico è cosa seria, la più seria di tutte, perché riguarda i valori intorno ai quali s’intende organizzare il sentire comune del giusto e dell’ingiusto e dunque scegliere cosa fare per il bene di tutti o per il minor male di tutti. Con questo discorso, sia chiaro, non si intende proporre il modello di Stato etico, men che meno di una Federazione etica europea, ma si vuole semplicemente sottolineare la centralità che anche nella determinazione del futuro dell’Unione può assumere l’etica, intesa, appunto, come la scelta migliore o meno peggiore per il bene di tutti, organizzata intorno a valori-pilastro, che hanno fin qui accompagnato il processo di costruzione unionale.

La scelta di accelerare il cammino di unificazione è la sola, oggi, in grado di evitare il peggio. D’altra parte, al di là dei valori, se ragioniamo con fare pragmatico e non ci abbandoniamo a facili slogan, dobbiamo riconoscere che la nostra finanza pubblica e anche la nostra economia privata, senza l’Unione e la Banca centrale europea non sarebbero state in grado di reggere le onde d’urto generate dalle crisi del 2008, del 2012 e da quella attuale.

Ecco perché oggi non è più sufficiente che la discussione tra gli Stati si concentri sulla rideterminazione dei parametri di Maastricht, per ora sospesi, ma nuovamente operanti fra qualche mese, ossia sulla rimodulazione dei parametri di contenimento dei bilanci, di riduzione della spesa, dei debiti e dei deficit ai quali tutti gli Stati dovranno o dovrebbero tornare ad attenersi scrupolosamente. Ed ecco perché l’intervento del nostro presidente del Consiglio ha centrato in pieno il punto nevralgico della questione europea. È infatti sull’integrazione fiscale, nelle tre specie del debito, della spesa e delle tasse, che il dibattito si deve prontamente appuntare con fare costruttivo e sano pragmatismo.

 

Aggiornato il 01 aprile 2021 alle ore 09:17