
Ciascuno ovviamente può pensarla come vuole, ma il prossimo Governo guidato da Mario Draghi non sarà per nulla un semplice Governo tecnico. Certo, i pentastellati lo definiranno in questo modo, anche per resuscitare o almeno vivificare il loro tradizionale spirito antieuropeista, ma ciò non conta, perché Draghi è un politico di calibro elevatissimo, come è facile comprendere. Innanzitutto, occorre operare una distinzione concettuale fra vari tipi di governo possibili: Governo politico, Governo di unità nazionale, Governo tecnico, Governo istituzionale, altrimenti detto del Presidente.
Il Governo politico è quello tradizionale, quello cioè che nasce da un accordo fra i partiti rappresentati in Parlamento dai deputati e dai senatori eletti, i quali formano una maggioranza che sostiene il governo, fronteggiata da una opposizione che lo critica: la maggioranza vota a favore del Governo, l’opposizione contro. Il Governo di unità nazionale nasce ugualmente dal basso, cioè da un accordo fra i parlamentari, abbracciandoli però tendenzialmente tutti: per questo prende il nome che lo designa. Ciò si verifica di solito in momenti storici molto delicati (per esempio, lo stato di guerra), che richiedono l’ausilio di tutte le forze politiche, di ogni provenienza, le quali, nel nome del superiore interesse nazionale e comune, mettono da parte le differenze che li dividono, per mobilitarsi a sostegno dello stesso governo, senza che si possa più distinguere fra maggioranza ed opposizione: tutti votano a favore del Governo. Qualcosa di simile – anche se di portata più limitata – fu il cosiddetto Patto del Nazareno che, anni fa, vide nella stessa maggioranza insieme Forza Italia e il Partito Democratico, formazioni politiche che per tradizione stanno su sponde opposte; qualcosa di simile è, ancor oggi, la Grande coalizione fra cristiano-sociali e socialdemocratici che governano in Germania, insieme ormai da molti anni. Il Governo tecnico, invece, può nascere certo dal basso, ma più spesso nasce dall’alto, cioè per incarico del capo dello Stato, il quale, per periodi limitati e per esigenze contingenti e urgenti (per esempio una crisi economica come quella del 2008), incarica un esponente tecnico per affrontare e risolvere problemi specifici e indifferibili. Esempio fu il Governo di Mario Monti, nato nel 2011 per fronteggiare, nelle intenzioni di Giorgio Napolitano, la crisi economica mondiale. Monti non era affatto un politico, non ne possedeva la visione e neppure la sensibilità; era soltanto un ragioniere della finanza, che più o meno meccanicamente, eseguiva direttive ricevute in sede europea, senza curarsi per nulla degli effetti sociali, umani, politici che ne scaturivano. Infatti, si circondò di ministri invisi ai partiti (basti fare i nomi di Paola Severino o Elsa Fornero), dai quali era mal sopportato: qui tutti votano a favore del Governo, ma vorrebbero votare contro. Infine, nel Governo istituzionale – propiziato dal capo dello Stato – chi riceve l’incarico può essere certo un semplice tecnico (come nel caso di Monti), ma può invece essere un politico, come di sicuro nel caso odierno di Draghi: qui si formano maggioranze che possono anche essere diverse da quelle tradizionali, ma che comunque sostengono il Governo, fronteggiate da una opposizione inedita nella sua composizione. Vediamo in che senso.
Perché affermo che Draghi è un politico? Mi limito a tre indicazioni, ma di assoluto significato. In prima battuta, va ricordato come quando Draghi assunse la carica di presidente della Bce (Banca centrale europea) e formulò subito la celebre dichiarazione che salvò l’Italia e molti Paesi europei dal fallimento (“faremo tutto ciò che sarà necessario”), mettendo fine alla terribile speculazione finanziaria in corso, si comportò da politico e non certo da tecnico. Dichiarare pubblicamente, infatti, nella qualità di presidente della Bce, che questa avrebbe comprato senza limiti di sorta, né temporali né quantitativi, i titoli pubblici sul mercato – azzerando appunto la speculazione in pochi minuti – è gesto squisitamente politico e per nulla tecnico. Ve lo immaginate – tanto per capirci – Monti che fa quella dichiarazione? Neppure a pensarci: da tecnico avrebbe taciuto. Draghi invece, consapevole, di un orizzonte politico preciso parlò e, parlando, letteralmente capovolse lo scenario europeo. Per capirci ancora meglio, se oggi i pensionati italiani ricevono ancora la pensione mensile, invece di morire di fame, in buona parte il merito è di Draghi. E così per gli impiegati pubblici. In seconda battuta, va ancora ricordato come, durante la sua presidenza della Bce, Draghi sia stato osteggiato pubblicamente e privatamente non dal vicino di casa, ma nientemeno che dalla potentissima Bundesbank, la Banca centrale tedesca, quanto mai ostile alla sua politica bancaria: se fosse stato solo un tecnico, non ne avrebbe avuto motivo. Non solo. In questa difficile temperie, Draghi – da accorto politico – riuscì a chiedere e – cosa strabiliante! – ad ottenere l’appoggio di Angela Merkel a suo favore e contro al Bundesbank. E ci riuscì non perché sapesse raccontare bene le barzellette (particolare, questo, che ignoro) o perché fosse simpatico (cosa da dimostrare), ma perché parlava e si comportava da politico ad una persona, come la Merkel, che, da politica, gli rispondeva. Infine, basta leggere un articolo che Draghi pubblicò sul “Financial Times” l’anno scorso per intendere che si trattava del linguaggio di un politico a tutto tondo, preoccupato del futuro dell’Europa vista come casa comune e della necessità che i bilanci pubblici e le banche si mobilitassero a sostegno dei bilanci privati.
Siamo in presenza probabilmente di una raffinata proposta politica capace di inaugurare una forma nuova ed aggiornata del keynesismo economico. Se poi si ricordano le parole da Draghi pronunciate appena ricevuto l’incarico da Sergio Mattarella, se ne avrà conferma: una visione sul futuro, non esente dalla consapevolezza delle emergenze sanitarie ed economiche, nel verso della tutela dovuta ai nostri figli: più politico di così! Certo, è improbabile che Draghi possa avere come ministri esponenti dei partiti, ma di sicuro avrà personalità gradite ai partiti che lo sosterranno. I conti, in Senato, potranno tornare senza eccessiva difficoltà: mettendo insieme Partito Democratico, Forza Italia, Italia Viva, Azione di Carlo Calenda, Giovanni Toti e perfino la Lega, dopo le aperture di Matteo Salvini. I numeri ci sono ben oltre la maggioranza necessaria. E se la Lega preferisse astenersi, i numeri per governare ci sarebbero ugualmente. E quando si contano i numeri, si contano perché il Governo è politico. Non per altro.
Aggiornato il 05 febbraio 2021 alle ore 09:51