Mario Draghi come ultima spiaggia?

Si può dire quel che si vuole di Matteo Renzi ma persino i suoi più convinti odiatori non possono non prendere atto, sia pure obtorto collo, che l’obiettivo di archiviare Giuseppe Conte, insieme al partito che l’ha voluto premier, è stato raggiunto. Colpito e affondato, come si dice.

Che in settantacinque anni abbiamo avuto sessantasei governi, non dovrebbe stupirci di fronte alla eventualità di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Come dice qualcuno: Governo più, Governo meno.

Il fatto è che il Governo, sia pure in fieri, di Super Mario, significa ben di più di un suo numero in più agli esecutivi precedenti. La fuoriuscita dal circolo vizioso della crisi del Conte bis è innanzitutto il segnale del fallimento della politica, prima ancora che del crollo di una impalcatura di potere incentrata sull’avvocato del popolo con la complice alleanza di un Partito Democratico che, nelle aspettative di Nicola Zingaretti, avrebbe dovuto riassorbire l’antipolitica del vaffa grillino nella comunità democratica, cioè la politica, finendo invece nelle spire distruttive di incompetenti presi dal nulla. E destinati, inevitabilmente, alla bancarotta. E a proposito della ideologia sottostante i vaffa, cioè quel principio dell’uno vale uno, ha un che di surreale e di ridicolo di fronte al solenne incarico a Mario Draghi voluto dal Quirinale. Un incarico che ha scompaginato i giochi e che non può non avere riflessi sugli schieramenti, al loro interno, nelle interazioni, guardando al perimetro europeo che lo contraddistingue. E senza dimenticare il giudizio dell’opinione pubblica, letteralmente sbigottita per quei giochi e relative conseguenze, un giudizio implicito nel citato detto “Governo più, Governo meno”, foriero, prima o poi, di ulteriori ondate di un qualunquismo e di un populismo, cui la figura di Mario Draghi fa oggi da bastione. Ma, sul dopo ciò che resta della politica, dovrebbe attentamente riflettere.

Si profilano decisioni complicate per tutti, ma per ciò che resta del M5S la possibilità di una scissione fra governativisti e movimentisti non è da escludere. E l’eventualità di un partito di Giuseppe Conte – oggi coi sondaggi elevati – è destinata a perdere molto appeal col passare del tempo. Cioè con la durata di Draghi a sua volta posto, per conto del Quirinale e non solo, ad ostacolo di elezioni anticipate sulle quali insistono Giorgia Meloni, un po’ meno Matteo Salvini, quasi per nulla Silvio Berlusconi. Un quadro mobile sul quale l’effetto Draghi è da subito visibile, cosicché il tutto s’aggiusta di andreottiana memoria non sembra il toccasana in una situazione per dir così liquida, nella quale le scelte da prendere non possono prescindere dagli errori commessi aggravati, nel Pd, da una plateale sconfitta che pure è stata cercata avvinghiandosi alla sorte di un Conte e all’autoinganno di una irrevocabile permanenza a Palazzo Chigi. Senza fare i conti, al di là delle mancanze governative denunciate dall’odiato Renzi, dalla mancanza, quella che fa la differenza, di una maggioranza indispensabile a quella permanenza.

Le consultazioni dovranno innanzitutto dire – e dare – a Draghi una nuova maggioranza per quel governo di alto profilo, indispensabile in una situazione di emergenza. E le salite al Quirinale dei partiti potrebbero essere l’occasione di contributi positivi, in modo particolare per chi ha scherzato con il fuoco di una democrazia e di un Parlamento svuotato progressivamente di rappresentanza, anche nella scelta di premier al di fuori delle sue Aule, se non addirittura presi dalla strada, come l’ultimo. Un finale di partita, come viene da molti chiamato il possibile Governo in laboriosa costruzione. Ma altri parlano di Mario Draghi come ultima spiaggia.

Aggiornato il 04 febbraio 2021 alle ore 10:11