
Politica vo’ cercando ch’è sì cara. Parafrasando il Poeta, Dante Alighieri, ne chiediamo l’aiuto ma temiamo che neppure le sue rime soccorrino, anche perché in questi giorni troviamo la conferma della sua scomparsa. Della politica, beninteso. L’apparente circolo vizioso della crisi è tale perché così vogliono i suoi attori, a cominciare dallo stesso Matteo Renzi. In realtà, tutte le crisi di Governo, comprese quelle della Prima Repubblica, non appena dichiarate, entrano in un labirinto dal quale, però, ogni partecipante crede di conoscere l’uscita, naturalmente pro domo sua. Non solo, ma quasi tutte le crisi sono state giudicate, dalla gran parte dell’opinione pubblica, una specie di gioco nel Palazzo, di perdita di tempo, di difesa di interessi di parte mentre il Paese attraversa momenti difficili. In effetti, è soltanto quando si apre una crisi che l’evocazione ai supremi destini della nazione si alza solenne, e i partiti coinvolti vengono tacciati da irresponsabili e, ovviamente, i mass media seguono l’onda. Soprattutto nel nostro caso, ne esaltano i difetti, gli intrighi, le malefatte.
Mai come ora il rimbombo mediatico prevale su tutto, e oltre ad accompagnare il proseguire delle liturgie, peraltro obbligate, sta diventando il dominus in un contesto in verità non sconosciuto nella storia del nostro dopoguerra, ma tenendo bene a mente che proprio in lontani inizi i governi recavano i segni di protagonisti degni dell’impegno di una ricostruzione (il termine è oggi molto di moda) dovuto soprattutto a leader democristiani, liberali e socialisti, come Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, il secondo in qualità di ministro dell’Economia.
La Prima Repubblica è stata travolta e cancellata con i suoi partiti, ma va pur detto che questi hanno guidato il Paese per un cinquantennio, sia pure con limiti e colpe, ma con meriti storici difficilmente contestabili. Il fatto, ed è un fatto, è che la politica allora c’era ed era al servizio di una ricostruzione attuata senza guerre e senza traumi, pur attraversando fasi, svolte, situazioni assai complesse. Anche questa è una situazione non poco difficile ma ciò che la contraddistingue, e ne rende ancora più problematiche le soluzioni, è la scomparsa della stessa politica, la sua latitanza, il suo esilio. Non a caso, le migliori e più acute osservazioni a proposito di questa crisi vengono avanzate da politici dell’ancien regime, per esempio da Pier Ferdinando Casini a Paolo Cirino Pomicino, entrambi e sempre, non a caso, di fede democristiana. Si dirà che è molto più facile il criticare che il fare ma, a quanto pare, sia il fare che il dire necessitano di una visione, di una coerenza, di una consapevolezza, qualità queste che solo molto superficialmente si notano nell’azione di tanti personaggi, compresi in gran parte della maggioranza dei no contrapposti. E in una opposizione nella quale si distingue quella di Silvio Berlusconi come proposta costruttiva, per uscire dal labirinto. Una proposta discutibile, si capisce, ma nel segno della politica e che riporta nel campo della incapacità e irresponsabilità proprio quel Giuseppe Conte intorno al quale s’è schierato il partito della sua inamovibilità, altrimenti si vota.
Il principio che non ci sono uomini per tutte le stagioni (Pomicino dixit) è una regola fondamentale, che viene ignorata sistematicamente. Ed è negata da un premier che nega, a sua volta, la sua possibilità di continuare a fare, come si dice, politica in altri ruoli. A meno che si consideri l’uomo della provvidenza. L’ostacolo è dunque Conte stesso. E se si comprende il terrore dei pentastellati in dissoluzione nel correre il rischio di elezioni anticipate, è persino incomprensibile la difesa ac cadaver del premier da parte dell’alleato Nicola Zingaretti, che pur carente di “physique du rôle” dovrebbe ben sapere, per esperienza, che proprio in quei “no” contrapposti s’annidano e crescono i germi delle temute elezioni anticipate.
Aggiornato il 03 febbraio 2021 alle ore 09:50