Conte: un premier venuto dal nulla o dal caso?

L’imminenza dell’incontro fra un premier e un ex suggerisce qualche considerazione a proposito dell’uno e dell’altro, costretti a guardarsi in cagnesco fin dalla origine del Conte bis (auspicata da Matteo Renzi e quindi attuata per eliminare il pericoloso Matteo Salvini) e sfociata in quello che potremmo chiamare penultimatum. Che dell’avvocato Giuseppe Conte si sapesse poco o nulla fino alla sua elevazione ai vertici è cosa nota. Ed è da questa ignota collocazione che la compagine giallorossa ha promosso un’ascesa, senza una qualsiasi valutazione di un’antecedenza avvolta nelle nebbie e, soprattutto, senza una sia pur minima ma ne necessaria considerazione sulle reali capacità politico-amministrative, tenendo d’occhio la primaria ragione politica alla base del placet del capo in testa, Beppe Grillo e via via di tutti gli altri. E pensare, soprattutto a Matteo Renzi, che bastava un bel “patti chiari amicizia lunga”.

Non si sa se Conte sia stato iscritto da Casaleggio senior (Gianroberto) e junior (Davide) nella onnifacente piattaforma Rousseau, ma bastava quella sua nomina dall’alto per una più attenta riflessione renziana ,e non solo, sul significato vero di una scelta avveratasi prima con la Lega e poi col Partito Democratico secondo una logica bensì trasformistica ma certamente segnata da una ideologia fondata sul “vaffa”, su mirabolanti promesse messianiche in funzione della presa di un potere di assai difficile rimozione grazie all’emergenza, ai moniti quirinalizi, alla durezza di un Covid e, per dirla tutta, dalla oggettiva insufficienza di una controproposta alta e possibile della opposizione, prima della spallata e poi segnata da procedimenti a zig zag, da fughe in avanti, col rischio di rotture interne sanate in extremis ma inevitabili soprattutto ora, di fronte all’assalto di Renzi alla cittadella di Palazzo Chigi. Renzi che sia letteralmente sbottato a proposito della gestione dei 300 miliardi europei che Conte pensava o si illudeva di fare propria grazie alla edificazione di una piramide sostenuta da task force e da comitati di manager e di esperti con lui sul cucuzzolo, è del tutto comprensibile e giusto. Del resto, il cammino di Conte ha avuto sempre come stella polare l’immagine e il ruolo dell’uomo solo al comando, procedendo con decreti presidenziali, con indifferenze sia per le Aule parlamentari sia per le proposte della stessa opposizione, con la gestione dei problemi incarnata da infinite mediazioni, da abili aggiramenti, da eleganti rinvii, sfuggendo ai mandati e agli agguati così da costituire una sorta di dispotismo democratico (Ezio Mauro). E l’uomo solo al comando ha trovato un fatale intoppo nei giorni scorsi segnalato da tempo dalle incertezze e inadeguatezze di fronte alla seconda ondata pandemica ed ora incappato nella piramide di cui sopra. A Renzi tocca ora il compito di mostrarne i piedi d’argilla e gli oggettivi scavalcamenti di obbligata gestione collettiva, tenendo fermo il significato politico del suo assalto al quale la tecnica contiana, ora concorde su una verifica e su un non impossibile rimpasto (da sempre deprecato come arnese della vecchia politica) offrirà il campionario delle sue mediazioni invocando la gravità del momento, la necessità di un tavolo comune utile, l’impegno di un cammino mano nella mano.

La domanda se Renzi resisterà alle sirene per una riacquistata compostezza è di difficile riposta. Il passaggio dalle parole ai fatti è quanto mai arduo se si abbandona la strada maestra della politica per l’accettazione di toppe e rimedi per aggiustamenti di potere e sottopotere. Il fatto è che l’abilità di un premier, venuto dal caso ma benedetto dal vaffa, ha primeggiato nel gioco opposto: passare dai fatti alle parole.

Aggiornato il 16 dicembre 2020 alle ore 13:00