Silvio Berlusconi dice sì all’appello di Sergio Mattarella, Matteo Salvini teme un tradimento del Cavaliere, Giuseppe Conte è aperto al dialogo ma non vuole sentir parlare di allargamenti, Nicola Zingaretti invece va più in là del premier, Luigi Di Maio replica “con Berlusconi mai!”. Si dice che è il solito teatrino della politica. In effetti, nei corsi e ricorsi della politica italiana non potevano non ritornare definizioni e parole antiche e recenti indicando, a chi ha buone orecchie da intendere, che c’è un passato che non passa. Alla parola o parolina “inciucio” di recente accusa all’imputato di turno, riemerge dal passato l’immortale invito di Aldo Moro alle “convergenze parallele” proprio come alla necessità del dialogo di oggi corrispondono le larghe intese di ieri, e così via in quello che qualcuno chiama il gioco quattro cantoni. Inviti, moniti, perorazioni, proposte e progetti che prevedono da sempre, nel loro ascolto e nella probabile attuazione, colpi e contraccolpi fra chi governa e chi sta all’opposizione e, soprattutto, inevitabili sussulti interni ai partiti e alle alleanze.
Il caso del centrodestra è a suo modo esemplare, anche perché le ragioni del dissidio fra Berlusconi e Salvini, con le recentissime accuse reciproche di tradimento dei patti dell’alleanza, hanno matrici complesse, come complessi sono i caratteri dei due, complicate le motivazioni, difficili le composizioni. L’aspetto curioso è che entrambi, premettendo eterna fedeltà al centrodestra, giurano di tenere nella massima considerazione il monito del Quirinale alla concordanza ma ne negano contestualmente la pratica, accusandosi reciprocamente di inseguire disegni incoerenti con la stessa, perché tendenti, secondo l’accusa di Salvini, a confondere volutamente quello che Conte chiama il tavolo per proposte comuni con quello per la spartizione di ministri e di posti: vale a dire all’allargamento della maggioranza. Un tradimento politico, a sentire la Lega salviniana. Parliamo di matrici, più o meno lontane, di contrasti che hanno come sfondo, oltre alla caratterialità diversa, una divergenza che, per dirla coi latini, è in re ipsa cioè nella tradizione di Lega e Forza Italia, con un ribaltamento dei consensi ma anche con un cambiamento in corso d’opera compiuto da Salvini su un partito nato per l’autonomia del Nord ed ora nazionalista e, asimmetricamente, un Berlusconi fermo nei suoi principi liberali, europei. Nemici degli scontri all’arma bianca con l’opposizione preferiti da Matteo Salvini, il cui partito sta diventando un’attrazione fatale per parlamentari di Forza Italia, con grande disappunto del Cavaliere. Un disappunto da parte di un Berlusconi che non può dimenticare lo strappo salviniano, col sospetto di nascoste alleanze con un M5S sempre odiatore del Cavaliere, sulla vicenda dell’assalto a Mediaset di Vivendi, stoppato qualche giorno fa ma tornata d’attualità ora e con il medesimo strappo leghista, firmando la pregiudiziale contro la norma che argina la scalata di Vivendi all’azienda italiana.
Una dichiarazione di guerra, dicono ad Arcore, un tradimento vero e proprio aggiunge Berlusconi. E ,dunque, la conferma di una sempre più marcata distanza fra i due che non può non avere aspetti e conseguenze politiche, giacché sono le amare considerazioni del leader di Forza Italia, la riaffermazione dell’accusa del conflitto d’interessi, per molti aspetti sepolta dagli antichi nemici piddini, è ora riesumata e sottoscritta proprio da un alleato – sempre più sospettato di una entente cordiale col M5S – cui non può sfuggire la difesa perinde ac cadaver di una azienda che fa tutt’uno con la persona del suo creatore. Una persona per così dire doppia, che fa politica e che nella politica si muove e si muoverà secondo dinamiche sempre più divergenti rispetto a chi ha infranto un patto fondato, fin dalla notte dei tempi, sulla garanzia di quella doppiezza.
Aggiornato il 20 novembre 2020 alle ore 10:28