Se la strada della politica estera imbocca quella interna

La strada della politica estera conduce spesso a quella interna, come insegna l’ultimo Silvio Berlusconi sulla elezione di Joe Biden. E la vittoria d quest’ultimo nella difficile e controversa Arizona, patria dello scomparso John McCain già leader repubblicano, eroe del Vietnam ma detestato da Donald Trump, può garantirgli l’alloro finale e ufficiale mettendo i bastoni fra le ruote a un Trump indefesso nella sua battaglia a suon di minacce giudiziarie contro il “falso” vincitore. Quelle di Berlusconi, più volte ribadite nei talk televisivi, vanno oltre le congratulazioni al nuovo presidente – con una parentesi sulla arroganza di Trump – dando l’impressione di voler superare le colonne d’Ercole della tenaglia di Matteo Salvini e Giorgia Meloni per navigare in un mare (politico) più aperto, sia pure assicurando fedeltà alla alleanza di centrodestra.

Il fatto è che il Cavaliere ha parlato da vero statista in questa vicenda, non solo e non tanto nella velocità dei suoi complimenti a Biden, ma rinfacciando implicitamente a Salvini la sconfitta del trumpismo che ha connotato la politica estera leghista, salvo eccezioni, nei suoi “amori” per un Vladimir Putin assente, come Salvini, nelle telefonate a Biden ma ben presente, grazie all’isolazionismo praticato da Trump per quattro anni, in quel Mediterraneo passato da Mare Nostrum a mare della coppia Putin–Recep Tayyip Erdogan. Si possono facilmente intuire le considerazioni di un ex colonnello del Kgb come Putin rispetto agli atteggiamenti dell’America di Donald Trump che, nel suo diffidente disinteresse per la Unione europea, per la Nato, per la Germania di Angela Merkel e persino per la Cia, si è posta in sintonia con altri populismi che, come nel caso italiano, annunciano una politica estera analoga, nell’eventualità molto probabile di un prossimo Governo a guida salviniana.

In questo quadro, si spiegano le mani avanti poste da Berlusconi sia per un futuro che ha un cuore antico, europeo, atlantico, stabilizzato, sia per un presente italiano devastato dal Covid con un Governo zoppicante e debole in Parlamento e con una Lega il cui ripicco contro Mediaset è considerato ad Arcore come una pugnalata al cuore dell’impero berlusconiano cui non basta e non basterà il rimedio in extremis postovi dallo stesso Salvini. E, si pensa sempre da quelle parti, che alla frittata fatta qualcuno ha rotto le uova e le preoccupazioni di una replica degli assalti di Vivendi a quel cuore proiettano ombre lunghe sulla stessa alleanza di centrodestra, nonostante il diverso atteggiamento di Giorgia Meloni. Il contesto politico nostrano è, per molti aspetti, mobile e la nuova posizione di Berlusconi vi contribuisce, così si spiegano le lodi riversate su di lui dagli stessi che per anni lo avevano considerato alla stregua di un presuntuoso e irresponsabile parvenu marchiato da un vergognoso conflitto di interessi e che, adesso, è assurto al ruolo dell’uomo di Stato, capace, moderato e responsabile.

Dai (nuovi) amici mi guardi Iddio; questa massima non dovrebbe sfuggire al Cavaliere che sulla strada della politica estera ha imboccato una deviazione sulla politica interna, densa di incognite ma anche di sfide. Giacché quella contro la micidiale è una guerra e in qualsiasi guerra, insegna la storia, il cittadino benché richiesto di sacrifici, e più propenso alla stabilità di qualsiasi Governo che a conflitti interni destabilizzanti. A meno che, s’intende, ai sacrifici non corrisponda una autentica capacità di darvi una risposta. Nel qual caso Silvio Berlusconi potrebbe rispondere: eccomi.

Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 09:47