
Diciamola tutta: si è verificato qualcosa di simile al caos fra Governo e Regioni. Alla faccia del nostrano federalismo sulla bocca di tutti, ciò che è accaduto, e in parte ancora accade, nel rapporto e conseguenti decisioni fra i poteri statali e quelli regionali, ha messo in crisi quel poco che rimaneva di una collaborazione tanto più necessaria quanto più obbligata nel dramma del Covid-19. Si potrà anche osservare che Lombardia e Calabria sono istituzionalmente e storicamente diverse da Arizona e Nevada, ma i casi che occorrono in una Italia che non è uno Stato federale come gli Usa, ci fanno concludere che il classico gioco (pericoloso) dello scaricabarile non è stato un bel vedere.
La mancanza più vera di Giuseppe Conte non è stata una guerra sui generis a chi avrebbe voluto, o potuto, sottrargli potere e audience nella oggettiva complessità delle decisioni da prendere, ma proprio l’assenza-ritardo di tali decisioni. Ritardi che vengono fatti risalire alle difficoltà della dialettica Stato-Regioni inceppatasi più volte sul tema del chiudo io o chiudi il relativo prezzo da pagare alla impopolarità di una simile scelta, ma è stato facile da parte dei diversi governatori e sindaci del nord, col suo 20 per cento di Pil, che una scelta del genere comportava e comporta un alto costo per la concessione di consistenti risorse da parte di Giuseppe Conte.
Al di là delle risorse, che non ci sono in un contesto dove l’unica cosa che vale, per tutti, è un lockdown in versione ora light ora hard, i contrasti nella conferenza Stato-Regioni non potevano che esplodere nella sostanziale casualità di chiusure generalizzate del ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base di dati che non sono a conoscenza delle Regioni e neppure dei media, accendendo propositi di ribellione con l’applicazione, dove possibile, di misure alternative e più leggere. Ed è difficile dare torto ai governatori di Lombardia e Sicilia quando rinfacciano al ministro della Salute di aver usato dati vecchi, compiendo scelte assurde e irragionevoli senza alcuna intesa preventiva con la Regione Sicilia, e di usare comportamenti inaccettabili con le richieste della Lombardia neppure prese in considerazione. Tutto questo ben si sa e i talk ne sono pieni, insieme alla asfissiante invadenza mediatica di esperti, medici, virologi spesso l’un contro l’altro, armati nella differenziazione di previsioni a scapito della chiarezza invocata dai cittadini.
Il fatto, ed è un fatto non un’opinione, è che il Governo Conte è sempre più debole ed è quindi costretto a perdere tempo come, del resto, è avvenuto per quattro mesi persi in autoincensamenti in nome dell’esaltato modello Italia che ha sostanzialmente funzionato nella prima fase, ma che in quella in corso ha mostrato falle e vistosi limiti, specialmente in una colpevole incapacità di previsioni, perdendo tempo prezioso in discussioni vuote, tipo quella del Mes contrastato dalle teste, ancora più vuote, dei grillini, dai quali nessuno o quasi si attende scelte importanti in quei pomposi Stati generali, nei quali il tema più vero dovrebbe essere, e non sarà, la ragione di continue fughe di parlamentari e i rischi di probabili scissioni.
Il cammino tormentato dell’ultimo Dpcm mostra una strada accidentata per Conte, in un diverso quadro politico dove non risuonano gli applausi di qualche mese fa ma appunti e sollecitazioni critiche che, soprattutto in quella sorta di caos decisionale fra Governo e Regioni, rivelano debolezze, fragilità e indecisioni di un premier un tempo solo al comando, ma ora messo di fronte sia a un latente conflitto con i poteri decentrati, sia a divergenze interne di Matteo Renzi e di taluni nel Partito Democratico, sia ad un fin de non recevoir da una fetta di opposizione che, a parte Silvio Berlusconi, fa orecchio da mercante alle richieste di collaborazione. Del domani non vi è certezza, a quanto pare.
Aggiornato il 06 novembre 2020 alle ore 09:25