
Forse il presidente ligure Giovanni Toti non voleva dire ciò che ha dichiarato a proposito della inutilità, se non peggio, degli anziani, ma è molto probabile che lo pensi. E non è il solo. Si è scusato per il lapsus, ma come dice la massima sulla voce dal sen fuggita che poi richiamar non vale, quella di Toti è qualcosa di più di una uscita infelice: è un pensiero comune e diffuso. Capita e gli esempi storici non mancano, nei contesti in cui al vecchio (in politica) che resiste si contrappone il nuovo, il giovane che avanza. E il vecchiume, di prima, deve arrendersi al giovanilismo di dopo, vincente. Si faccia largo ai giovani che hanno i riflessi pronti, altro che i vecchi rimbambiti. A proposito di Toti, la domanda da porsi riguarda il perché della diffusione di quel pensiero, sia pure involontario, non fosse altro riflettendo sulla stessa voce sfuggita che non poteva non rivolgersi anche un “vecchio” in politica come Silvio Berlusconi che, come uomo pubblico, non può negare la spietatezza dell’anagrafe. Ma, al di là delle impennate giovanilistiche nel privato che gli sono costate care e salate, sta rivelando anche in questi giorni una prontezza di riflessi testimoniata dal freno a mano tirato, con tale consapevolezza, da fermare le spinte al no di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, mutandole in astensioni.
È la saggezza degli anziani, si vorrebbe dire, ma è anche un segnale di spiccata attenzione al contesto politico dove, al muro contro muro, si contrappone la prosecuzione della solita confusione e indecisione di un premier “giovane” con i suoi rinvii a proposito di lockdown totali, parziali, diversificati, geograficamente limitati, da discutere con le Regioni, con buona pace del modello Italia della primavera scorsa, quando al decisionismo sulla chiusura totale facevano da controcanto l’accompagnamento di canzoni dalle finestre e dai balconi. Il cambiamento radicale degli umori, trasformatisi qua e là in rabbiosa rivolta, ha suonato come un allarme per Giuseppe Conte, redivivo “re tentenna”, tanto da cambiare i suoi ripetuti rifiuti nei mesi scorsi alle avance del centrodestra in un confuso e sottinteso invito alla partecipazione ad un tavolo comune, che è tardivo se si pensa agli interessi di bottega ma che ha una sua logica nel quadro devastante dell’incedere pandemico. È in questa logica politica che si è inserito il Cavaliere, con la prudenza che qualcuno potrebbe definire dei piccoli passi ma che, sempre nel quadro che ben conosciamo, si sforza di uscire e fare uscire dal pantano una situazione che, diversamente, non ha alternative possibili, dato che l’ipotesi di crisi e di elezioni immediate non è pensabile. E che, dunque, la permanenza a palazzo Chigi del tentennante premier ne è la conseguenza.
Quanto al diritto alla salute e alla stupefacente classifica del “giovane” Alberto Bagnai della Lega, in riferimento al primario diritto al lavoro, la questione attiene francamente alle diatribe sul sesso degli angeli che, per altro, non sfigurano nei confronti dei comportamenti delle Regioni in quella che, i benevoli, hanno chiamato “dialettica fra Stato e istituzioni decentrate”. Ma che, in realtà, è una sorta di scaricabarile in cui, di volta in volta, si richiamano i diritti di entrambi i contendenti a scapito dei doveri (chiusure, blocchi, lockdown totali o mirati) che sono impopolari per chi li assume. Una scusa o un pretesto, fate voi, per il nostro “re tentenna”.
Aggiornato il 05 novembre 2020 alle ore 09:48