Perché emergono i peggiori ma non sempre

Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura, passato dal socialismo sudamericano al liberalismo classico, in una recente intervista ha dichiarato tra l’altro che “tranne rare eccezioni, in politica, anche nei Paesi del primo mondo, abbiamo politici da terzo mondo”. Si riferisce alle democrazie? Parrebbe di sì. La Cina, infatti, è entrata nel primo mondo con un regime comunista in salsa capitalistica: socialismo e mercato, quasi l’ircocervo paventato da Benedetto Croce circa un secolo fa. E poi dicono che i filosofi vivono sulle nuvole!

Comunque, il buon dittatore non esiste perché non esiste la dittatura buona, almeno per chi crede nella democrazia liberale come sembrano crederci i Paesi del primo mondo, appunto. Dunque il problema sembra racchiuso in una domanda cruciale, non solo oggigiorno. Perché emergono i peggiori? Troppo facile sarebbe rispondere “ogni popolo merita i suoi governanti”. Gli elettori non scelgono, generalmente parlando, questo o quel rappresentante perché dotato di virtù, vere o presunte, che loro non posseggono. Accade di rado, anche perché le virtù proprie del vero governante non sono affatto comuni e, per così dire, popolari. A parte i troppi casi storici in cui il popolo ha eletto, senza accorgersene prima, un Governo poi rivelatosi dittatoriale.

Un altro Nobel, ma per l’economia, Friedrich von Hayek, ha ricordato che, di qualcuno che stimano più competente, molti si fiderebbero fino ad approvare imprudentemente una dittatura dei virtuosi”. Il totalitarismo sarebbe un sistema di potere ugualmente adatto al bene e al male”, ma dipendente dalla natura del dittatore. Benché in democrazia la scelta del governante sia fortunatamente soggetta al pentimento degli elettori, che possono revocarlo pacificamente alle scadenze stabilite, le elezioni non danno garanzie circa la selezione dei migliori, rectius dei più adatti a governare.

L’amara verità è che, sebbene in grado minore e per diversa qualità, pure la democrazia è “un sistema di potere ugualmente adatto al bene e al male”. Tuttavia, quando funziona in modo accettabile, ha l’intrinseca natura di potersi autocorreggere, finché non superi il punto di rottura oltre il quale tutto diventerà possibile. Prima di tale punto, nello stadio in cui “ci sono la domanda generalizzata di un’azione di governo rapida e generalizzata e l’insoddisfazione per il corso lento e ingombrante delle procedure democratiche”, emergono i peggiori, coloro che desiderano l’azione per l’azione come fine in sé”. Costoro, per essere influenti fino a voler diventare maggioranza, è facile che raccolgano e coagulino le più demagogiche pretese della gente, che, in quanto tali, vellicano gli istinti e le inclinazioni diffuse. Sulla spinta di tale magma indistinto di aspettative e risentimenti, di istanze contraddittorie e irrealistiche, salgono alla ribalta gli arruffapopoli, i meno commendevoli, i più disposti a farsene portavoce a discapito della serietà, della moralità, della ragione, della verità. I creduloni, disposti a bersela tutta, e i deboli, senza fermi convincimenti, diventano preda dei disposti a tutto, in buona fede o in cattiva fede non farà differenza.

Il rovescio della medaglia del perché emergano i peggiori, benché non sempre, sta nel problema della selezione dei leader. Qui la storia e i pensatori non sembrano offrire una definitiva panacea. Del resto, se fosse esistita, i peggiori sarebbero stati relegati negli oscuri recessi della politica anziché per secoli balzare alle luci del palcoscenico, come pure di recente così tanti lamentano. Purtroppo sembra esistere un solo antidoto, antico e raro, un regolo da impiegare a lungo, con costanza e determinazione.

Gli Ateniesi consideravano la loro democrazia un esempio di educazione per l’intera Grecia: politica, leggi, costumi erano la scuola dell’Ellade. Infatti la democrazia a questo serve (dovrebbe servire!), ad elevare e coltivare al meglio l’indole dei cittadini, a preservare la salus publica. Così la politica viene fondata sul popolo senza pericolo di affondarlo. La democrazia non consiste soltanto nell’esercitare il potere, ma anche e soprattutto nell’educare ad esercitarlo. Se no, è un mezzo fallimento. 

Aggiornato il 12 ottobre 2020 alle ore 08:39