Governo: il cambio di passo una volta si chiamava rimpasto

Si capisce che a Giuseppe Conte la parola rimpasto non vada a genio. E, a quanto pare, neppure il Quirinale ne è entusiasta vigilando dall’alto le evoluzioni e le involuzioni di una maggioranza nella quale il catastrofico finale di partita grillino sta per consumarsi in pasto agli avvocati. Un finale con l’inevitabile cocktail tipico, peraltro, della commedia all’italiana con finte nostalgie e oscure minacce di abbandoni da parte della leggendaria Rousseau, il nutrimento che allevò i pentastellati all’antipolitica ma adesso, un loro gruppo, accomodato al tavolo dello chef governativo, non vuole più alzarsi. In nome del posto e del pasto. Altro che rimpasto.

Ma se neanche Nicola Zingaretti vuole sentire nominare quella parola, figuriamoci Luigi Di Maio, seduto a capotavola, che lo sta copiando e sembrando, entrambi, gli imitatori dell’impareggiabile duo manzoniano del lenire e sopire, sopire e lenire.

Siccome i tempi sono cambiati, cambiano anche le parole, ma solo formalmente. Il significato non muta, non può mutare anche e specialmente per gli anti-partiti e anti-sistema d’antan, e ora costretti o convinti a bussare al sistema: dei partiti e della politica, dopo due anni di corroborante bagno governativo traslocando da una maggioranza all’altra pur di conservare le poltrone.

In nome della debordante filosofia dei luoghi comuni, se fino a qualche tempo fa la frase più usata e abusata da Conte era il “non abbassare la guardia”, ora gli si chiede un “cambio di passo”, anche da parte di un equilibrista come Zingaretti, e non solo, stante l’uscita di una solitamente silente Casellati che invita, come seconda carica del Stato, ad un urgente, obbligato cambio di passo. Appunto.

Last but not least, Matteo Renzi. In realtà, l’ex presidente del Consiglio sembra andare oltre chiedendo una verifica di governo indispensabile ad un rimpasto per il quale l’obiettivo, più che a una crisi vera e propria, mira ad una gestione diversa del governo, pur lasciandovi l’attuale inquilino, ma rafforzandone l’azione in previsione del Recovery fund e per rimediare ai ritardi accumulati. È un Renzi che vorrebbe riprendersi dai cattivi risultati della sua Italia Viva ferma al 3 per cento, forse rimpiangendo l’occasione d’oro sprecata col caso Bonafede quando avrebbe potuto dare un colpo secco al grillismo ma all’ultimo momento si fermò, e senza un perché. Mostrando che la sua era una pistola scarica. Un errore fatale, in politica.

In questo senso, la proposta di far entrare nel governo Zingaretti (che l’ha respinta, per ora) segue di certo una sua logica politica, ma ad una osservazione più maliziosa, e a sentire certe voci nel Partito Democratico, questo obiettivo dovrebbe completarsi con la sua entrata al governo dove la presenza dei big dei partiti costituirebbe una garanzia di cambiamento, di stabilità e di continuità fino alla scadenza naturale.

Un rimpasto? Di più. Ma che dirà il Quirinale? E Di Maio, quello che definiva Renzi, con la consueta eleganza, l’uomo di Bibbiano? Per non dire di Casaleggio & Di Battista. E Rousseau?

Aggiornato il 08 ottobre 2020 alle ore 11:20