Zingaretti Travicello in Pd allo sbando

Il Partito Democratico, nella vicenda referendum, è allo sbando. Vota tre volte No in Parlamento al taglio dei parlamentari. Poi, alla quarta volta, vota Sì. Ci ha ripensato? Ha meglio valutato la cosa? Niente affatto. La capriola, come dichiarato pubblicamente da Nicola Zingaretti, non ha nulla a che fare con un ragionato cambio d’opinione sul numero dei parlamentari. È determinata invece esclusivamente dall’entrata al Governo con gli odiatori professionali di Zingaretti e dei suoi piddini.

Giuseppe Conte, sughero galleggiante a destra, sinistra, centro, offre il salvataggio della legislatura, avente lo scopo d’impedire che Matteo Salvini vari un governo populista e sovranista, qualunque cosa voglia dire. Mai con i grillini, proclamavano i piddini; e viceversa. Poi Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si son tolti i pesci dalla faccia. Il Governo, puntellato da due debolezze, ha avuto la fortuna di trovare un virus pandemico, che, invece di debilitarlo, l’ha rafforzato. Adesso però Zingaretti comincia a capire, essendo di suo politicamente tardigrado, comincia a capire, dico, che la sua strategia è assai poco strategica. Infatti, se vince il No, lui ha perso, essendosi convertito al Sì all’ultimo momento per ragioni di misera bottega. Se, al contrario, vince il Sì, lui ha perso lo stesso, avendo riconosciuto che voleva il No ma ha dovuto ingoiare il Sì. Insomma, non pare una bella figura e men che meno una figura da leader.

Infilatosi nel garbuglio delle simulazioni e dissimulazioni, ora Zingaretti cerca d’uscirne con un aut-aut che fa ridere o piangere gli avveduti, mentre agli sprovveduti pare la conferma della confusione in cui è precipitato il fu partito a vocazione maggioritaria. Pretende l’approvazione della legge elettorale per le nuove Camere ancor prima di sapere se dal referendum uscirà davvero il “Parlamento amputato”, come mi piace chiamarlo con una definizione che ha avuto un certo successo perché rende bene l’idea. Zingaretti, è ovvio, non ha la forza né d’imporre una legge elettorale né d’imporla a suo piacere. Sappiamo che Zingaretti subordinò il Sì nella quarta votazione non solo al grosso totem governativo ma anche al piccolo totem di una legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento, soglia da definire in modo da renderla appetibile a potenziali esclusi. Adesso la promessa che gli diedero per fargli dire di Sì sull’altare del referendum sembra friabile. Vacilla tra distinguo e diffidenze, nonché tra mille dettagli tecnici che non promettono niente di buono.

La pretesa di Zingaretti sta assumendo i colori del capriccio. Almeno così la stanno facendo passare i suoi inaffidabili alleati. Ma qui, se Zingaretti fosse consapevole del momento storico, cioè fosse il leader nazionale degno del nome, anziché un semplice presidente di una regione e un povero segretario di un partito allo sbando, dovrebbe intestarsi la legge elettorale che escludesse le liste bloccate. Anzi, dovrebbe pretendere il divieto delle liste bloccate, che impedirebbero agl’Italiani di scegliersi i rappresentanti singulatim, persona per persona, dovendoli subire in blocco, prescelti dai partiti, così come sono. Se vincessero i Sì, una legge elettorale con liste bloccate mortificherebbe gl’Italiani non solo con un “Parlamento amputato”, ma anche con un “Parlamento autocratico”. È consapevole Zingaretti di contribuire ad assestare un colpo mortale alla democrazia rappresentativa se non si opporrà, costi quel che costi, almeno alle liste bloccate, alle quali tutti pensano e nessuno parla? Silenzio allarmante!

Aggiornato il 03 settembre 2020 alle ore 11:07