Conte: il premier delle contraddizioni

Secondo tutti i gli esperti ed osservatori siamo usciti dalla fase più difficile dell’emergenza. Se non, addirittura, dall’emergenza stessa e la nuova fase in corso è quella della ricostruzione. A maggior ragione, gli sguardi e gli impegni di chi governa devono concentrarsi su un futuro che è già cominciato in parallelo, sia con le risorse disponibili sia con uno slancio programmatico sullo schema di un tempo da Dopoguerra. Il problema di fondo di Giuseppe Conte non sta tuttavia nel coraggio o nell’ampiezza di questo guardare lontano, che pure è indispensabile, ma nella sua condizione, per dir così, politica primaria come espressione di un movimento pentastellato che l’ha proiettato in men che non si dica a Palazzo Chigi. È, insomma, l’ideologia (si fa per dire) del M5s che non può non condizionarlo in non scelte che, peraltro, si sono già viste nel recente passato se si pensa, ad esempio, all’Ilva di Taranto, riguardanti l’urgenza di una ripresa della quale la spinta più necessaria sono gli investimenti.

In questo senso, la stessa decisione che dovrà essere assunta a proposito dello stato di emergenza, se cioè questo dovrà prolungarsi fino al 31 ottobre a seconda delle proposte in Senato dal premier, avrà conseguenze di non poco conto. Il prolungamento emergenziale allungherebbe i tempi di Cassa integrazione e il mantenimento delle norme di distanziamento e di contenimento ma, contestualmente, non potrebbe non trasmettere ai mercati, alla stessa opinione pubblica e alle imprese nel loro complesso, un sensazione di precarietà pericolosa e indubbiamente diretta in senso opposto al rilancio della economia. E quando si fa cenno ai condizionamenti di Conte da cui le incertezze i dubbi, le pause, i rinvii, se ne capiscono le contraddizioni politiche se è vero come è vero che, con la proroga ad ottobre ci sarà un sovraccarico per il sistema sanitario posto a rischio, e in tal caso sono a dir poco incomprensibili le sue contrarietà al Mes, con la garanzia di 36 miliardi di prestito della Ue indispensabili proprio per quel sistema e dunque per la salute degli italiani.

Il punto discriminante e al tempo stesso rivelatore di questo impasse è che Conte rimane sostanzialmente prigioniero, come si accennava sopra, della ideologia grillina da sempre contraria alle due parola “industria e investimenti”, propugnando l’alternativa di “aiuole e campi gioco”, con una decisa contrarietà a vincolare la politica italiana ai condizionamenti di Bruxelles. Intanto, nella stessa Lombardia, che ha avuto il drammatico primato di contagi e di decessi, reduce da una emergenza che ha rischiato di travolgerla, e al di là delle vicende giudiziarie ai vertici alle quali Attilio Fontana ha dato risposte esaurienti, si stano già notando sintomi di una ripresa che Confindustria definisce bensì lenta e parziale, ma in grado di farci vedere una luce in fondo al tunnel. Una luce che, tuttavia, per le incertezze, i dubbi e le indecisioni di Conte prevedendo un prolungamento dello stato di emergenza, rischia di affievolirsi con un freno pericoloso al trend della ripartenza.

Aggiornato il 29 luglio 2020 alle ore 11:13