Il mostro legislativo del Governo Conte

Confusionaria e tortuosa, la vita politica permea necessariamente anche la produzione normativa. Il legislatore, infatti, se ne infischia degli eccessi, della qualità, della chiarezza delle leggi. Ne costituisce la manifestazione più eclatante il decreto-legge cosiddetto “Rilancio”, già entrato nel museo degli orrori, dove resterà per sempre a scorno di governanti e rappresentanti che, di fatto inferiori al compito, legiferano dietro mascherine per proteggersi dal virus ma forse pure per non farsi riconoscere. Il decreto è un mostro legislativo, che neppure la pandemia avrebbe dovuto consentire.

Occorre un’avvertenza. Giudicare mostruoso il decreto non ha a che vedere con la malevolenza politica o la critica aprioristica. Al contrario, il giudizio è stato messo nero su bianco dal parere del “Comitato per la legislazione”, formato da otto deputati (quattro di maggioranza, quattro di opposizione), che “esprime alle Commissioni pareri sulla qualità dei progetti di legge, valutandone l’omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di formulazione, nonché l’efficacia per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente. Nell’esaminare i decreti-legge, valuta anche l’osservanza delle regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto previste dalla legislazione vigente”. Non uno di questi ammirevoli e desiderabili parametri viene rispettato dal “Decreto Rilancio”. Lo afferma il Comitato stesso. Perciò “ex ore tuo te iudico”.

Innanzitutto, il decreto consta di 735 pagine (Camera, n. 2500-A). Proprio così, 735! Gli articoli sono 266. I commi, 1051. “Le dimensioni del provvedimento non sono mai state raggiunte in passato”. Un record di Giuseppe Conte, finalmente, che ha superato il se stesso del “Cura Italia”. Una legge del 1988 impone che le norme dei decreti-legge siano immediatamente applicabili. Invece “si segnala che, dei 266 articoli, 75 prevedono provvedimenti attuativi; dei 1051 commi, li prevedono 100 commi. Sono in tutto previsti 103 provvedimenti attuativi: 1 decreto del presidente della Repubblica, 5 Dpcm, 71 decreti ministeriali, 26 atti di altra natura; sono altresì previste 18 forme di coinvolgimento (intese, pareri, accordi) del sistema delle Conferenze, 5 pareri del Garante dei dati personali, 2 pareri della Conferenza dei rettori, 12 casi di autorizzazione o dichiarazione di compatibilità della Commissione europea”. Il decreto è “anomalo per la quantità delle disposizioni e per il numero dei provvedimenti d’attuazione”.

Inoltre presenta “profili problematici che richiedono attenta riflessione sulla qualità della formulazione e sul sistema delle fonti, poiché la Corte costituzionale esige razionalità normativa, coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico”. Il decreto, poi, “non risulta corredato né dall’analisi tecnico-normativa né dall’analisi di impatto della regolamentazione, neanche nella forma semplificata”. Le “dimensioni eccessive” impediscono il “ragionevole equilibrio” nella distribuzione tra Camera e Senato dei 60 giorni del termine di conversione dei decreti-legge.

Infine, l’ammonimento a scongiurare “gli aggravi procedurali che potrebbero intralciare l’erogazione in atto di benefici ed indennità, pregiudicando l’immediata applicazione del provvedimento con incertezze e ritardi”. Così il Comitato chiama anche alla ribalta un Governo Fregoli, che con una mano semplifica e con l’altra complica.

Con riferimento alla specificità, all’omogeneità, ai limiti prescritti, il Comitato ha notato che il decreto è “ab origine a contenuto plurimo”. Quindi vietato. Tuttavia, seguendo una stravagante pronuncia della Consulta, ha concluso che “le molteplici disposizioni, ancorché eterogenee dal punto di vista materiale, presentano una sostanziale omogeneità di scopo”. Come dire che il Codice civile è omogeneo perché regola i rapporti privati. In effetti, il “Decreto Rilancio” è ponderoso quanto un codice ma coerente quanto uno zibaldone. A parte i re legislatori dell’Antichità, nessuno è mai riuscito a elaborare un codice in 60 giorni. Il presidente Conte, novello Hammurabi, ce l’ha fatta, quanto al volume. I ministri che hanno deliberato il decreto, il capo dello Stato che l’ha emanato, i parlamentari che l’hanno convertito, sono giustificati per non averlo letto tutto né capito del tutto. Non sono tenuti all’impossibile. I cittadini invece sì.

Aggiornato il 17 luglio 2020 alle ore 21:05