Sarebbe fin troppo facile attribuire tutte le colpe a Giuseppe Conte. Peraltro lui ce la mette tutta a farsene attribuire spesso scambiandole per meriti. Probabilmente è l’effetto dell’abuso delle conferenze stampa fra le quali spiccano due o tre come quella riguardante la vicenda Benetton che, a ben vedere, si può tranquillamente qualificare nel contesto di una “ideologia” assistenzialista, ai vecchi tempi denominata, più correttamente, statalista.
Intendiamoci, Conte non è il primo e neppure l’unico in quel gruppo di avventurieri incapaci e giustizieri del Movimento 5 Stelle che di tale cascame ideologico si nutrono, vista la loro irrecuperabile ignoranza e incultura politica.
Riempite, non a caso, di invocazioni criptorivoluzionarie, di messaggi populisti, di propositi giustizialisti, di propaganda demagogica. Il punto è che come Presidente del Consiglio dovrebbe reggere ben dritto il timone non solo per evitare le secche ma per temperare, moderare, mediare e poi decidere negando innanzitutto il vizio grave e assurdo della demagogia che, in realtà, coincide col ripudio del riformismo.
Ed è tanto più colpevole il silenzio del Partito Democratico di fronte alla ideologia economica pentastellata quanto più vocazioni e invocazioni al metodo delle riforme erano risuonate sotto le volte congressuali (quando c’erano) di postcomunisti spergiuranti sull’approdo irreversibile nel sistema liberale.
Se osserviamo i casi di Autostrade, Alitalia ed ex Ilva, parlare di assistenzialismo è fuorviante e riduttivo perché le operazioni rientrano di buon diritto nel ritorno, più vivo e operante (e costoso) di prima, di quell’Iri con le su mani stataliste sull’economia anche se, cambiando i tempi, cambiano anche i nomi: da Iri a Cassa depositi e prestiti, ma i soldi sono sempre pubblici e, nel caso, dei risparmiatori postali.
In tal modo i partiti rientrano in settori vitali del Paese dai quali avevano giurato, a cominciare dal Pd, di starsene alla larga in nome della trasparenza e della lotta alla corruzione, col M5S le cui trombe e trombette predicavano la imminente fine della morsa della Casta su questi ambiti.
Rivoluzionari da strapazzo, i grillini sono tuttavia riusciti a mettere in fuga ciò che restava nel Pd di riformista, a tal punto che la loro presenza nel Governo Conte sembra in un certo senso irrilevante.
Cosicché al Governo la strada fino ed oltre l’autunno parrebbe senza troppi problemi e dovremo attenderci altri “rigurgiti massimalisti dal Pd – come ricorda Giorgio Mulé (Forza Italia) – il cui passato che non passa. Il Pd sta vivendo un rigurgito di un massimalismo sconfitto dalla storia. È il ritorno alla caverna, la prova che il Pd non sa sfidare la modernità”.
Aggiornato il 20 luglio 2020 alle ore 12:50