
Chi sperava che la pandemia sarebbe stata un’occasione che avrebbe costretto l’Italia a decisioni rapide e ad attuare finalmente le necessarie riforme, si illudeva. L’Italia si conferma il Paese dei rinvii coperti dalle messe in scena teatrali e dalla retorica delle concertazioni e degli annunci a cui non seguono mai fatti concreti. Lo dimostrano, tra l’altro, la silente paralisi di ogni vera riforma della Giustizia, della Pubblica amministrazione e del Fisco; e lo confermano i dieci giorni di futili chiacchiericci e passerelle mediatiche, detti Stati generali, e l’incredibile rinvio a settembre di ogni decisione, seraficamente annunciato dal signor Giuseppe Conte senza suscitare una fragorosa risata collettiva (commentatori politici dove siete?). Si sa benissimo infatti da tempo di quali riforme l’Italia abbia bisogno estremo ed urgente. Perché “ciurlare” nel proverbiale “manico”? A chi giova? Vediamo.
Chi continua a credere che il governo italiano abbia come obbiettivo la soluzione dei problemi nazionali, è un ingenuo, e talvolta un finto ingenuo. Il vero obbiettivo del governo è ritardare e temporeggiare fino al 3 agosto 2021, quando comincerà il “semestre bianco” durante il quale il capo dello Stato non può sciogliere le Camere) premessa per arrivare al gennaio 2022, quando il prossimo capo dello Stato potrà essere eletto dall’attuale Parlamento (che stando ai sondaggi non rispecchia le attuali tendenze reali d’opinione nel Paese). Tutto, persino la salvezza nazionale, viene posposto a questo calcolo bizantino, che nasconde un obbiettivo di parte, considerato strategico da due forze minoritarie in caduta libera, come il Pd e i 5 stelle. In un altro Paese ciò farebbe sollevare le pietre. In Italia, invece, quel progetto temporeggiatore, solo formalmente democratico – e potenzialmente distruttivo di risorse ed opportunità – gode di percepibili sostegni nell’establishment del Paese, nelle istituzioni europee e nazionali, tra i grandi mass media e, di conseguenza, tra larghe fasce della popolazione.
Il governo attuale si è posto nel solco della tradizione dorotea e morotea di immobilismo mediterraneo dove i lenti rintocchi delle campane segnano, nella calura estiva, un tempo metafisico dell’eternità dagli impercettibili mutamenti. Un immobilismo e un temporeggiamento che una gran parte delle classi dirigenti e una consistente parte dell’opinione pubblica sembrano preferire ad una chiara ed esigente assunzione di piena responsabilità liberale e democratica da parte di tutti. Il loro alibi è “l’assenza di un’alternativa credibile e responsabile”. Questa impressione à stata certamente favorita da certe ambiguità delle opposizioni sull’euro e sull’Ue, che certamente le opposizioni stesse avrebbero dovuto già da tempo e farebbero meglio a dissolvere al più presto con decisione. Come? Abbandonando le pregiudiziali ideologiche e incalzando invece l’immobilismo del governo; gareggiando con le forze di governo su come spendere i fondi in arrivo dall’Ue senza attardarsi anch’esse in sterili polemiche pregiudiziali; delinenando una chiara e coraggiosa visione liberale in alternativa a quella statalista e assistenziale delle forze di governo. Ciò tra l’altro avrebbe l’effetto di dividere l’establishment invece di coalizzarselo contro. È tempo anche per le opposizioni di rinunciare ai consensi effimeri e improduttivi di fasce dell’elettorato radicalmente e ideologicamente anti-europee. Ciò è vero tanto più in quanto i prossimi aiuti dell’Ue verranno verosimilmente utilizzati dal governo attuale non per attuare le riforme, ma a fini di temporeggiamento e di copertura dell’immobilismo. Un immobilismo che dovrebbe aprire contraddizioni e spaccature all’interno del blocco sociale conservatore e statalista, oltre che tra i gruppi sociali che da quell’immobilismo saranno direttamente danneggiati e anche pauperizzati.
Aggiornato il 22 giugno 2020 alle ore 09:08