Ancora una volta, come sempre, si discute se mettere a concorso i posti di insegnanti nelle scuole.
Mettere a concorso? Sì, ma quelli già assegnati ai “precari”, che assai poco precariamente li occupano da anni. Contro il dettato espresso della Costituzione, al pubblico impiego nell’insegnamento non si accede con concorso pubblico, ma è riservato a “precari” che, poi diventano stabili.
I concorsi? Sì, tra i precari. Per ottenere il posto? No. Per conservarlo. E per giostrarsi le sedi. Così si “concorre” per posti già assegnati. Si concorre sul modo di beffarsi della Costituzione. Salvo che nelle università, (che richiederebbero discorso a parte), un esercito di precari occupa le Cattedre delle scuole pubbliche. In perenne agitazione: per ottenere la sicurezza di ciò che già hanno.
Credo che ben poche Cattedre di scuole primarie e secondarie siano mai state assegnate per reale concorso aperto a quanti abbiano titoli. Cioè un titolo lo devono avere: quello di occupare già il posto.
Scuola italiana, scuola di precariato.
Sì, battaglie di professori e sindacati per ottenere ciò che si ha. Per non metterlo a portata di altri, che già non lo abbiano. Così si impara ad andare avanti nella Repubblica Italiana.
E la scuola italiana, dove ingegneri eccellenti avrebbero potuto lasciare la loro impronta, ha dato il “movimento” con gli “esami politici”, e “oggi a scuola abbiamo fatto assemblea”.
Scuola per far fare un passo indietro alla cultura. Anzi: per escluderla.
In fondo ciò che essa produce è solo per un miracolo. Forse questi miei giudizi sono il frutto di una mia scarsa dimestichezza con il mondo dell’insegnamento. Ma ho una sgradevole sensazione che i valori, le intelligenze, il lavoro di tanta gente si sprechi nelle scuole più che altrove.
Come sarebbe bello se sbagliassi di grosso!
Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 16:51