I “Frugali” e la dieta del fantino

Pensavamo che la proposta dell’asse franco-germanico sul Recovery fund chiudesse la partita sugli aiuti da fornire, come Unione europea, agli Stati messi in crisi dall’esplosione della pandemia. Ci sbagliavamo. A stretto giro è arrivata la controproposta dei cosiddetti “Paesi frugali”, cioè i rigoristi del “fronte del Nord”: Olanda, Svezia, Danimarca, a cui si è aggiunta l’Austria. I rappresentanti di queste nazioni hanno messo nero su bianco una drammatica verità: non accettano in alcun modo il principio della mutualizzazione del procurato debito per aiutare gli Stati in difficoltà, in particolare quelli del Sud dell’Europa. Il documento parla chiaro: l’Unione può prestare risorse finanziarie ma non donarle. Non basta. Il prestito non sarebbe alla cieca. Comunque dovrebbe essere accompagnato e garantito da una piena disponibilità dei riceventi a sottostare a un severo programma di riforme strutturali. L’intervento, inoltre, sarebbe temporaneo e contenuto in una finestra di due anni. Nessun collegamento poi al Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021/2027 dell’Unione europea, in discussione a Bruxelles.

I “frugali” si oppongono fermamente all’aumento dei contributi economici dovuti dai Paesi membri al bilancio comunitario. In concreto, essi non sono contrari in linea di principio all’erogazione di risorse per fronteggiare le conseguenze economiche e socio-sanitarie del Coronavirus ma pongono condizioni ferree perché gli aiuti non si trasformino in regali appesi all’albero della cuccagna per gli Stati inclini, a loro giudizio, alla finanza pubblica allegra. Allo scopo, chiedono un forte coinvolgimento della Corte dei Conti Ue, dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) e della Procura europea (Eppo) nella vigilanza sul buon uso dei prestiti concessi. Se è questa la linea che si profila in sede comunitaria appare evidente che non possa essere condivisa dai potenziali percettori del sostegno economico. In primis, l’Italia. Si tratta di un brusco risveglio da un sogno che non avrebbe retto l’impatto con la realtà. Soltanto Giuseppe Conte e la sua abborracciata maggioranza hanno creduto che si potessero ottenere quattrini a scrocco da Bruxelles. Ma non stupisce tanta credulità. Per come stanno andando le cose da noi, col rischio di deflagrazione della coesione sociale in conseguenza del crollo verticale del Pil e con le misure economiche varate dal Governo che promettono tanto e poco o niente concedono nel concreto, si può ben dire che il premier e la sua squadra più che nella “Fase 2” siano entrati nella “Fase Rem”. Sono in una bolla onirica in cui i rapporti con i leader stranieri appaiono deformati dando al Conte bis una percezione di forza contrattuale che nella realtà non esiste.

Come si può accettare che i nostri rappresentanti non avessero contezza della verità? Qui occorre fare un distinguo. Se è plausibile attribuire ai Cinque stelle una sconcertante ingenuità connessa alla conclamata inesperienza nel gestire situazioni incommensurabilmente più grandi di loro, per la sinistra vale ben altro ragionamento. I “compagni”, non da oggi, hanno piena consapevolezza di non essere in grado di offrire all’Italia risposte adeguate alla sua storia, al suo peso geo-economico e alla sua collocazione strategica. Considerando l’ascendenza politica che li ha generati: il comunismo e il popolarismo dossettiano, su qualsiasi terreno provino a muoversi finiscono per annegare in un mare di contraddizioni. In un mondo ordinato a criteri di onestà intellettuale e rigore morale dovrebbero da se stessi riconoscere i propri limiti raccontando al Paese la verità sull’impossibilità, nelle condizioni date, di tenere assieme il loro bagaglio ideologico-culturale e la guida di una società moderna, capitalistica e liberale vocata a stare al passo con le altre democrazie avanzate della civiltà occidentale.

Non conoscendo tale probità intellettuale e non essendo minimamente intenzionati a mollare l’osso del potere, i “compagni”, assoluti nemici dell’interesse nazionale, preferiscono spingere il Paese sotto la tutela delle burocrazie sovraordinate dell’Unione europea sperando che i padroni li tengano almeno come guardiani del nuovo ordine, piuttosto che lasciare il passo alla destra perché provi, con i propri programmi e la propria visione di società, a raddrizzare la china del Paese. Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Roberto Gualtieri, Paolo Gentiloni e soci sanno benissimo che né i fondi disponibili presso il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) né quelli ipotetici e futuri del Recovery fund saranno erogati senza condizioni. Eppure, insistono perché quei denari, fintamente offerti, li si accetti senza troppe storie. Costoro sono come il serpente della Genesi che, convincendo Eva a mangiare la mela, sapeva benissimo quali conseguenze vi sarebbero state. Ora, possiamo girarci intorno quanto vogliamo: questa è la realtà. Scordiamoci le mani tese dei “fratelli” della Ue, dobbiamo tirarci da soli fuori dai guai. Per farlo c’è un’unica strada. Il Governo ha valutato in circa 100 miliardi di euro, in aggiunta alla massa finanziaria già stanziata, il fabbisogno immediato per dare una spinta decisiva alla ripartenza economica. Gli italiani quei denari li posseggono. In assenza di alternative dovranno mettere mano al portafoglio. E ciò può avvenire in due modi. O si procede con una massiccia campagna di acquisto di titoli del Debito pubblico da parte dei risparmiatori nostrani, com’è accaduto la scorsa settimana con l’emissione dello stock di Btp Italia quinquennali, oppure arriva la “patrimoniale” con tanto di prelievo forzoso dalle disponibilità monetarie e patrimoniali dei cittadini. Non serve strepitare contro lo Stato rapinatore: le casse pubbliche non possono rimanere vuote, altrimenti scoppia la guerra civile. Lo capisca anche la destra che quando sente parlare di “patrimoniale” le viene l’orticaria. Se hai la casa che brucia, non aspetti i pompieri ma ti dai da fare con i secchi d’acqua.

A riguardo, è nostra opinione che la soluzione più adeguata resti quella di comprare Btp: meglio creditori che salassati. Il Governo potrebbe dare una mano ponendo incentivi agli acquisti. Cento miliardi non sono pochi ma non sono un obiettivo impossibile. Il debito pubblico, però, schizzerà fino a lambire il 180 per cento del rapporto Debito-Pil. Per riportarlo a una quota di sicurezza ci vorranno anni, forse decenni. E occorreranno riforme strutturali impegnative insieme a un taglio robusto della spesa pubblica improduttiva. Sarà durissima, ma avremo scelto noi di farlo e non una qualsiasi Troika venuta a imporcelo da Bruxelles, Francoforte o dagli uffici del Fondo monetario internazionale di Washington. C’è una bella differenza in termini di dignità nazionale. E di credibilità sui mercati finanziari.

Si dirà: e l’Europa? Prima evitiamo di annegare poi, una volta tornati a riva sani e salvi, andiamo dagli “amici” europei a dire che per il futuro la musica cambierà e che si scordassero il quadretto rassicurante dell’Italia subalterna di cui hanno goduto fino ad oggi. Fuori gli attributi! Ci si metta di traverso ad ogni richiesta degli altri; si cominci col porre veti, a cominciare dalla pratica del dumping fiscale all’interno dell’Unione. Vedremo allora cosa dirà la “frugale” Olanda. Si minacci di riprendersi la libertà di fare per proprio conto la politica delle alleanze internazionali, poi vedremo le facce che faranno Emmanuel Macron e Angela Merkel; se avranno ancora voglia di considerare l’Italia periferia del nuovo impero europeo. Siamo messi male, ma non siamo ancora finiti. Adesso però c’è bisogno di una nuova classe dirigente che ci guidi attraverso la tempesta verso approdi sicuri. Prima che accada l’irreparabile.

 

Aggiornato il 25 maggio 2020 alle ore 12:35