Riforme strutturali: non c’è più tempo da perdere

Non c’è più tempo da perdere. Occorrono riforme strutturali che guardino oltre all’indebitamento. Lo scenario interno e quello internazionale lasciano facilmente presagire il rischio di uno sgretolamento sociale ed economico del Paese, che in tempi ravvicinati ne potrebbe minare la tenuta.

È possibile ridurre questo rischio? Lo è, purché, contestualmente alle misure di emergenza, si scelgano azioni d’avanguardia che sappiano, appunto, guardare “oltre” e virilizzare stabilmente le libertà individuali.

La politica è a un bivio e prima o poi lo sarà anche il corpo elettorale: guardare al futuro con gli stessi occhiali del passato, con le medesime ideologie, con gli stessi schemi economici e sociali, largamente incentrati sulla spesa pubblica improduttiva e sulla centralità dello Stato; oppure cambiare occhiali e seguire una strada diversa, coraggiosa, che ponga al centro l’individuo e ne potenzi l’energia di intrapresa. Strade alternative a queste non ce ne sono, a meno che non si voglia considerare tale quella ingannatoria e gelatinosa del populismo.

Se si guarda alla storia, anche recente, senza schemi precostituiti sul piano ideologico, la scelta vien da sé. Per risalire davvero la china occorre dare alle libertà lo spazio che pretendono e disporre lo Stato al servizio della loro espansione, non viceversa.

In questa prospettiva, fra le altre azioni, ve ne solo alcune particolarmente urgenti. Le indico sommariamente. La prima: ridurre e riqualificare la spesa pubblica. Il che significa modificare profondamente lattuale sistema di redistribuzione del reddito, riducendo la spesa assistenziale e indirizzando parte delle restanti risorse a incentivare la produttività, così da aumentare l’offerta e creare nuova occupazione. Seguire, insomma, la strada opposta a quella degli aiuti alla domanda interna, sorretti da spesa corrente ed elargiti con bonus, sovvenzioni e cose simili. Interventi, tutti questi, che non hanno portato, neppure lontanamente, al risultato sperato.

La seconda: fare dei tributi un pungolo. La scelta di sostenere offerta e produttività deve passare, oltre che dalla spesa, da almeno tre cambiamenti del sistema tributario: introdurre il procedimento di determinazione individuale anticipata del reddito, in contraddittorio con l’amministrazione finanziaria, prima dell’inizio dell’anno d’imposta o prima dell’avvio di un’attività, così da eliminare burocrazia, carte, incertezze interpretative e oneri aggiuntivi; ridurre la pressione fiscale generale e sgravare totalmente da imposte gli utili societari reinvestiti in economia reale, ricerca, digitalizzazione e innovazione tecnologica; incentivare gli investimenti in attività produttive del denaro privato finora “posteggiato” sui conti correnti, assicurando agli investitori sia lesenzione dalle imposte dei futuri guadagni, sia interessi attivi sullo stesso denaro impiegato per un tempo determinato (se si vuole, più ampiamente, il mio Crescere in equità, FrancoAngeli editore).

La terza: avviare lammodernamento del Paese. Investimenti massicci in infrastrutture, tutela del territorio, settore energetico, sanità, edilizia abitativa e scolastica possono riaccendere i motori dell’economia. Non perché il moltiplicatore della spesa sia in sé la panacea di tutti i mali, ma perché questo tipo di spesa può contribuire, almeno inizialmente, ad agevolare la ripresa. In un contesto di questo genere, potrebbero intervenire “titoli pubblici di scopo”, ossia titoli di investimento finalizzati esclusivamente a singole opere o ricerche, con rendimenti garantiti ed esenti da tassazione.

La quarta: sminare il terreno imprenditoriale e degli investimenti pubblici dalle pastoie burocratiche e dalle ghigliottine giudiziarie. Occorre una riscrittura del codice degli appalti, delle regole sul processo cautelare amministrativo, di alcuni reati, ad iniziare da quello di abuso d’ufficio, e di alcune figure di responsabilità erariale. Interventi di questo genere potrebbero finalmente garantire velocità agli investimenti e certezza temporale alla chiusura dei cantieri. Inoltre, potrebbero evitare “fughe in avanti” della magistratura inquirente, di quella contabile e della magistratura amministrativa, che spesso finiscono per ingessare l’azione pubblica.

C’è da lavorare, lavorare sodo per “inondare” il Paese di politiche innovative. Quello che Aldo Moro disse a proposito del suo partito, la Democrazia Cristiana, credo si possa affermare adesso per la politica in generale: “Un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano ... viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere” (Intervento alla Camera dei deputati, 2 marzo 1962).

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 11 maggio 2020 alle ore 09:57