
Non vuole essere una massima, ma una semplice constatazione. Basta osservare l’andamento delle faccende politiche (ammesso che di politica se ne veda ancora l’esistenza) per capire come lassù, cioè nel Parlamento, si stiano accumulando freni, remore, assenze e silenzi travolti dall’incalzare di una voluttà decretistica in nome e per conto dell’emergenza. Che c’è, intendiamoci, come c’è l’urgenza degli interventi governativi.
È la classica tenaglia che non poteva non stringersi intorno all’opposizione, in particolare a Matteo Salvini che ne è di certo la punta di diamante ma, al tempo stesso, l’inevitabile offerente il petto, come si diceva una volta e, quindi, la vittima e/o il vincitore.
Il fatto è che la strettoia, meglio chiamarla così, deriva principalmente da quell’andazzo che da settimane sta procedendo e che trova l’emblema più rappresentativo nell’ultimo decreto “Cura Italia” composto da ben 127 articoli che si estendono in 67 pagine per la Gazzetta Ufficiale. Un record mondiale, si capisce, ma anche un obbligo per chi siede in Parlamento, a cominciare da Salvini, di una sua analisi tanto più attenta quanto più indispensabile per un voto consapevole e necessario da parte delle Camere, la sede della volontà popolare democraticamente espressa. Che il leader della Lega si sia duramente impuntato su questa decisione di Giuseppe Conte – pervenuta peraltro dopo lunghi incontri e soprattutto scontri interni al Governo – era prevedibile e non propriamente per l’ultima, biblica estensione decretizia che pure necessita di defatiganti letture e interpretazioni, ma per una sorta di patologia che sta contaminando il nostro sistema con la costrizione coattiva ad una piegatura delle volontà di ciascuno sempre in nome dell’urgenza. E in una sorta di silenzio che sta contagiando a sua volta il Parlamento.
In questo quadro, a dir poco fosco, l’impuntatura di un Salvini (e del centrodestra ma con sfumature non indifferenti soprattutto in riferimento all’Unione europea) che ad altissima voce ha preannunciato il “No” funziona di certo in dichiarazioni e conferenze stampa, ma rischia di non trovare un’eco sostanziale nella cassa di risonanza, l’unica che conti e che deve decidere, vale a dire il Parlamento nel quale, peraltro, il centrodestra e dunque Salvini necessita di convergenze più che di ostilità.
Si dirà che la politica salviniana si attua in nome e per conto dell’urto in funzione, specialmente, della liquidazione di Conte, ma il periodo attuale non pare favorevole a tale esito anche osservando lo splendido isolamento con la carenza di alleati nelle due Camere pro Capitano che, tra l’altro, non nasconde un atteggiamento euroscettico nel momento in cui il Paese ha bisogno di legami e risposte proprio dall’Europa verso la quale, invece, le attenzioni di Forza Italia e, spesso, di Giorgia Meloni, sono ispirate alla fiducia.
Rebus sic stantibus, quel dire sempre acceso di Salvini si scontra con un fare troppo semplificato dalle grida di protesta e che rischia di finire con una raccolta assai ridotta di risultati. E non è certamente un caso che nell’ultimo sondaggio la figura di Matteo Salvini sia stata superata da quella di Giorgia Meloni.
Aggiornato il 23 marzo 2020 alle ore 10:00