Il virus dell’autolesionismo

L’Italia eccelle a livello mondiale nello sport dell’autolesionismo. Ci compiacciamo di essere i primi della classe in ciò che ci danneggia e diffonde di noi una pessima immagine. La vicenda del coronavirus è l’ultimo esempio di una serie infinita.

Fatti molto eterogenei e profondamente dissimili risultano legati, a ben vedere, da un “comune denominatore”: l’irrilevanza dell’interesse nazionale; anzi di più: il risvolto narcisistico dell’esterofilia. Intendo dire che mostriamo un insano orgoglio nell’apparire super partes, come se tutelare la nostra “parte” fosse un peccato mortale. Siamo i più buonisti, i più internazionalisti, i più equi e solidali al mondo. Sensibili alle altrui adulazioni per il nostro “disinteresse”, siamo ben disposti a cedere il passo agli altri, pur di non apparire “egoisti”. Ovviamente, nel consesso internazionale, è ben noto il “disturbo narcisistico della personalità” italiana; la lezione è stata capita da tutti: “pacche sulla spalla” e verbose adulazioni, da un lato, concretissimi “affari propri”, dall’altro. Ci commuoviamo per il lacrimevole e retorico “siamo tutti italiani” di Ursula von der Leyen, salvo scoprire il giorno dopo che i vertici della Banca centrale europea e le altre Autorità europee sono ben lieti di essere e sentirsi stranieri.

Non so in quale altro Paese al mondo possa essere santificata una Carola Rackete, che disobbedisce all’ordine legittimo delle Autorità italiane e sperona una motovedetta della Guardia di finanza, mettendo in pericolo la vita stessa degli agenti. Compriamo dalla Cina, pagandoli lautamente, presidi sanitari (che avremmo dovuto avere in misura sufficiente, per non doverli comprare all’estero) e ringraziamo la “generosità” di cotanto “fratello”. Il presidente cinese, ovviamente, non si lascia sfuggire l’occasione di tanta “solidarietà”, per mostrare al mondo che la Cina e l’Italia sono accomunate dalla medesima disgrazia, ossia sono ugualmente “responsabili” della diffusione nel mondo del coronavirus. Anzi: l’Italia più della Cina; visto che il virus stanziato in Italia sembra più aggressivo di quello di stanza in Cina. Già, perché le statistiche dicono che (in proporzione) si muore di più in Italia. Siamo bravi, infatti, a contabilizzare i morti “con” coronavirus in morti “per” coronavirus, ossia in maniera difforme da tutti gli altri, cosicché sia chiaro urbi et orbi che bisogna stare alla larga dall’Italia e dagli italiani.

L’odierno “coprifuoco” ha fatto seguito a innumerevoli manifestazioni di “solidarietà” nei confronti dei cinesi, nella prima fase della vicenda coronavirus. Si doveva infatti dimostrare che non siamo razzisti, chissà poi perché; ovviamente la necessità di siffatta dimostrazione è stata avvertita solo in Italia. Nessun altro Presidente della Repubblica ha sentito il bisogno di stringere tante mani cinesi, per smentire un razzismo inesistente. E potremmo continuare all’infinito, estenuando il paziente lettore con l’enumerazione di tutte le manifestazioni del complesso italiano di “inferiorità”, che ci fa subordinare il nostro interesse a quello altrui, e al contempo di “superiorità”, che ci fa sentire i più “virtuosi” al mondo, in confronto soprattutto ai “buzzurri” anglo-americani. Questo paradosso dell’inferiorità-superiorità è solo apparente, essendo ben spiegabile nel quadro della sindrome psicologica del narcisista, il quale, per ammirare se stesso, diventa dipendente dall’ammirazione altrui. Il sentimento di superiorità conduce così alla succubànza.

Perché stupirsi dunque se il premier italiano, visibilmente compiaciuto del suo impeccabile look, impreziosito dalla pochette, abbia sentito a suo tempo il bisogno di dare lustro al suo curriculum vitae con discutibili frequentazioni di università straniere (complesso di inferiorità) e senta oggi il bisogno di essere il primo della classe (complesso di superiorità) nell’adottare misure di contenimento del coronavirus, impensabili per gli altri Paesi occidentali. Tuttavia, non vorrei essere frainteso: non voglio dare la croce addosso alla persona del nostro premier, certamente una delle migliori esemplificazioni viventi del narcisismo autolesionistico; vorrei invece “discolparlo” per il fatto di condividere un vizio italico.

Altri, prima di lui, hanno accettato una parità lira-euro che penalizzava i legittimi interessi degli italiani; hanno chinato il capo, promettendo di “fare i compiti a casa”; hanno sottoscritto tutte le clausole vessatorie dei trattati e degli accordi stipulati coi paesi “amici”; hanno imposto di buon grado restrizioni e sacrifici al popolo italiano, solo perché “ce lo chiede l’Europa”. L’elenco delle scelte politiche di questo segno sarebbe troppo lungo; al punto che è necessario chiedersi se non siano riconducibili a un’egemonia culturale, diffusa e pervasiva, di antico lignaggio.

Lo sguardo agli accadimenti extrapolitici, ai fatti e agli episodi di costume, alle comuni narrazioni giornalistiche, ci fanno purtroppo ritenere che l’autolesionismo non sia prerogativa esclusiva del nostro premier, bensì un vezzo comune dell’intellighenzia ufficiale; un virus che prospera in tutte le sedi del “pensiero unico”, nelle quali si colpevolizza il sentimento nazionale. Accade così che i tanti “indignati” di professione, in servizio permanente effettivo, non si indignino del fatto che l’Eni, ossia l’Italia, venga estromessa da un grande affare in Algeria, sulla base di un’accusa di “corruzione internazionale” a carico dei suoi amministratori, rivelatasi del tutto infondata. Ovviamente l’affare ci è stato scippato da chi si guarda bene dal trascurare i propri interessi nazionali e non si preoccupa affatto di fare il primo della classe nell’improba impresa di moralizzare il mondo intero.

Non è difficile individuare l’origine del virus autolesionistico nell’egemonia culturale esercitata per lungo tempo dalla sinistra italiana, prima innamorata dell’internazionalismo proletario, poi del terzomondismo planetario, più recentemente del globalismo multiculturale, e comunque sempre ostile alla tutela degli interessi nazionali nel quadro di rapporti internazionali inter pares. Non sarà facile rimediare ai guasti provocati dal virus dell’autolesionismo e non sarà facile far intendere ai nostri partners che vogliamo rimanere in Europa in condizioni di pari dignità; la destra, se Dio vorrà, ci dovrà provare, con tenacia e intelligenza e forse strepitando meno.

 

Aggiornato il 13 marzo 2020 alle ore 17:56